Il Consiglio di Stato (Sezione Quarta) ha respinto l’appello di una cittadina e confermato la legittimità del diniego di permesso di costruire per l’installazione di una tettoia nel Sud Italia. La sentenza, emessa il 3 luglio 2025, stabilisce che anche un’opera apparentemente minore, se realizzata in una zona storica vincolata, può essere bloccata se modifica la sagoma o aumenta la superficie coperta dell’edificio.
Il nodo della questione: zona “A” e nuova costruzione
La controversia riguardava la richiesta di realizzare una tettoia di 1,80 x 5,00 metri a protezione dell’ingresso di un immobile. L’edificio è situato in una “Zona A” (centro storico) del Piano Regolatore, un’area soggetta a disciplina edilizia particolarmente rigida e a vincolo paesaggistico.
L’Amministrazione locale aveva negato il permesso, qualificando l’opera come “nuova costruzione”. Le motivazioni principali erano che la tettoia avrebbe costituito un ampliamento del fabbricato, incrementando la superficie coperta e modificando la sagoma dell’edificio. Secondo il Comune, questo era in contrasto con le Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) del P.R.G., volte alla conservazione dell’impianto originario.
La linea dura del Consiglio di Stato
La ricorrente aveva impugnato il diniego sostenendo che la tettoia fosse una semplice pertinenza o un’opera di manutenzione. Il Consiglio di Stato ha invece pienamente avallato la tesi del diniego urbanistico.
La sentenza chiarisce che la tettoia, per le sue dimensioni e le modalità di ancoraggio, crea un “ingombro planimetrico” e “altera la sagoma” dell’edificio. Questo impatto geometrico e funzionale ne esclude la classificazione tra le opere minori, inquadrandola di fatto come elemento estraneo all’impianto storico del fabbricato.
La tettoia in questione, tenuto conto delle sue dimensioni e delle modalità di ancoraggio al suolo, altera la sagoma dell’edificio e, insieme a questa, aumenta la superficie coperta dell’immobile in modo significativo.
Pareri paesaggistici: l’autonomia del diniego
Un altro punto dirimente è stato quello relativo ai pareri paesaggistici (della Soprintendenza e dell’Ente Parco), che l’Amministrazione non aveva acquisito prima di negare il permesso.
Il Collegio ha ribadito l’autonomia dei vincoli: il diniego era già legittimo e autosufficiente sulla base delle sole ragioni urbanistiche. Per il principio di economia procedimentale, non era necessario acquisire il parere sul vincolo paesaggistico se l’opera era già incompatibile con le norme edilizie e urbanistiche di stretta competenza comunale.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha confermato che la tutela dell’integrità strutturale e urbanistica delle zone storiche prevale, e che qualsiasi intervento che incida su parametri fondamentali come la sagoma e la superficie coperta richiede il rispetto rigoroso delle N.T.A.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it