“L’Internet delle cose mette in rete miliardi di dispositivi che diventano risorse condivise oltre il controllo del proprietario. Noi lavoriamo invece per un Internet delle persone, un sistema che rimetta al centro della tecnologia e del mondo virtuale la partecipazione delle persone e i loro bisogni di cittadini, togliendoli dallo status di semplici acquirenti di servizi concepiti da altri a puro scopo di lucro”. Questa la scommessa del progetto di ricerca internazionale “netCommons” (“network infrastructure as commons”) nelle parole di Renato Lo Cigno, professore di reti di calcolatori al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) e delegato del rettore per i servizi informatici dell’Università di Trento, a capo del gruppo di ricerca ANS (Advanced Networking System) che coordina Il progetto.
NetCommons ha ottenuto un finanziamento europeo di quasi 2,5 mln di euro nell’ambito di Horizon 2020, superando la selezione come terzo miglior progetto su quasi 200 presentati nell’area CAPS (Cooperative Awareness Platforms for Sustainability) relativa allo studio dei sistemi e delle piattaforme di comunicazione che consentono di migliorare la consapevolezza e la sostenibilità dell’uso delle risorse. Partner del progetto sono Università di Trento (che lo coordina), Universitat Politècnica de Catalunya, University of Westminster, Athens University of Economics and Business Research Center, CNRS (Centre national de la recherche scientifique) e Nethood (organizzazione no profit, Svizzera).
Nei giorni scorsi – informa l’Ateneo – tutti i partner si sono riuniti al DISI per l’avvio del progetto della durata di 2 anni. “Noi – spiega Renato Lo Cigno – perseguiamo una gestione consapevole e sostenibile della comunicazione. Osserviamo che i servizi di Internet sono concentrati nelle mani di pochi attori globali e anche l’infrastruttura fisica di comunicazione è dominata da poche decine di operatori a livello mondiale. Il progetto netCommons ha l’obiettivo di studiare la fattibilità tecnica, sociale, legale ed economica di approcci alternativi. In particolare il modello che verrà studiato e proposto è quello delle reti comunitarie (Community Networks), cioè reti locali che sfruttano tecnologie ormai affermate ed economiche come Wi-Fi e che vengono costruite e gestite da una comunità, fornendo al contempo servizi alternativi locali (come ad esempio “social networks” legate al territorio, servizi “cloud” distribuiti sulla comunità, video conferenza e video streaming di eventi locali senza usare le preziose risorse di interconnessione a Internet) e accesso a Internet come lo conosciamo oggi”.
Reti di questo tipo, spiega Lo Cigno, esistono ormai da molti anni in tanti Paesi, dagli Usa alla Spagna, dalla Germania alla Grecia. “In Italia la rete ‘ninux’ ha diverse centinaia di nodi e molti sostenitori appassionati”. “Noi vogliamo studiare e capire come far sì che le reti comunitarie diventino semplici da usare (attualmente sono quasi sempre formate solamente da “geek” e “smanettoni informatici”), legalmente protette dalle lobby commerciali e socialmente accettate in modo da rappresentare una opportunità su cui costruire l’economia digitale del futuro”.