Il modello precedente era questo: lo Stato, a caccia di risorse, tagliava i trasferimenti a Enti locali e Regioni e questi si ‘difendevano’ aumentando le tasse locali. Ma dal 2015 una norma ha neutralizzato l’aumento delle imposte, così i comuni hanno dovuto trovare un stratagemma per reperire quanto necessario.
Dal 2015 , infatti, da quando cioè le Regioni e i comuni non possano più ritoccare le tasse locali – le tariffe dei servizi pubblici erogati dagli enti locali sono aumentate del 5,6 per cento, vale a dire oltre 3 volte la crescita dell’inflazione. Sono i dati della Cgia che porta ad esempio le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) che tra il 2015 e i primi 4 mesi di quest’anno sono aumentate addirittura dell’88,3 per cento. Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell’acqua, invece, hanno subito un incremento del 13,9 per cento, quelle della scuola dell’infanzia del 5,1 per cento, le mense scolastiche del 4,5 per cento, il trasporto urbano del 2 per cento e i rifiuti dell’1,7 per cento. L’inflazione, invece, sempre in questo periodo è salita solo dell’1,7 per cento.
Dopo il blocco delle tasse locali imposto dal precedente governo, spiega l’associazione, molti amministratori si sono ‘tutelati’ rincarando le tariffe e/o riducendo la qualità e la quantità dei servizi offerti ai cittadini. E a conferma della bassa qualità dei servizi pubblici offerti dalla pubblica amministrazione la Cgia porta i risultati emersi da un’indagine elaborata l’anno scorso dall’Ue. Su 23 Paesi analizzati, l’Italia si colloca al 17° posto per livello di qualità della nostra Pubblica amministrazione. E se si va ad analizzare le performance di 206 realtà territoriali emerge come tra le migliori 30 regioni europee non ce n’è nessuna italiana, visto che la prima, ovvero la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36° posto della classifica generale.
Al contrario ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°, la Puglia al 188°, il Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana. Tra le realtà meno virtuose troviamo anche una regione del Centro, vale a dire il Lazio, che si piazza al 184° posto della graduatoria generale.
“Con lo stop agli aumenti della tasse locali – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – molti amministratori hanno continuato ad alimentare le proprie entrate agendo sulla leva tariffaria, incrementando le bollette della raccolta dei rifiuti, dell’acqua, le rette degli asili, delle mense e i biglietti del bus. E tutto ciò, senza gravare sul carico fiscale generale, visto che i rincari delle tariffe, a differenza degli aumenti delle tasse locali, non concorrono ad appesantire la nostra pressione fiscale, anche se in modo altrettanto fastidioso contribuiscono ad alleggerire i portafogli di tutti noi”.
“Sebbene da qualche anno ai Comuni siano stati alleggeriti i vincoli di bilancio grazie al superamento del Patto di stabilità interno e abbiano potuto contare su importanti aumenti tariffari – afferma il segretario della Cgia Renato Mason – le risorse a disposizione dei sindaci risultano ancora insufficienti per rilanciare gli investimenti e le manutenzioni pubbliche. Misure, queste ultime, che sono indispensabili per ridare fiato all’economia locale e, conseguentemente, al mondo delle piccole imprese”.