Nel 2021 il riscaldamento domestico contribuisce ancora, in maniera significativa, a inquinare le nostre città e a surriscaldare il Pianeta, incentivato da una serie di sussidi ambientalmente dannosi e da misure che, ultimo l’ecobonus, anziché spingere unicamente gli impianti a fonti rinnovabili favoriscono anche quelli a combustibili fossili. Eppure, le alternative ai sistemi centralizzati alimentati a gas e gasolio, che nel nostro Paese caratterizzano soprattutto i grandi agglomerati urbani, esistono già e sono altamente competitive.
È quanto emerge dal nuovo studio “Una strategia per la decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento degli edifici in Italia” realizzato da Elemens per Legambiente e Kyoto Club. Inserito nell’ambito di un progetto finanziato dalla European Climate Foundation, finalizzato a eliminare gradualmente i combustibili fossili dagli edifici residenziali in Italia, lo studio di fattibilità indaga lo stato dei sistemi di riscaldamento nel Belpaese, il loro apporto in termini di emissioni di gas, nonché le priorità d’intervento, e presenta le proposte per decarbonizzare il settore elaborate da Legambiente e Kyoto Club, che puntano all’eliminazione immediata del superbonus per le caldaie a gas e al 2025 quale data strategica per vietare l’installazione di nuovi impianti alimentati da fossili. Venendo ai dati emerge che in Italia il riscaldamento degli edifici residenziali, commerciali e pubblici pesa sulle emissioni di CO2 per oltre il 17,7%, secondo i dati di Ispra. Particolarmente consistente il ruolo del riscaldamento residenziale nell’inquinamento atmosferico: da solo, infatti, è responsabile del 64% della quantità di PM2,5, del 53% di PM10 e del 60% di CO emessi nel 2018, contribuendo al peggioramento della qualità dell’aria, specie nelle grandi città del Centro-Nord. Un impatto notevole confermato anche durante il primo lockdown del 2020: in Lombardia, ad esempio, uno studio dell’ARPA ha evidenziato come, nonostante lo stop delle attività produttive e di gran parte dei trasporti, le emissioni di PM10 siano diminuite soltanto del 17% proprio a causa di un incremento nell’utilizzo dei riscaldamenti. L’analisi per tipologia di combustibile evidenzia, inoltre, come la maggior parte delle abitazioni italiane (17,5 milioni su 25,5) utilizzi il metano, mentre i combustibili solidi (prevalentemente legname) sono impiegati in 3,6 milioni di abitazioni, il riscaldamento elettrico e il gasolio in 1,3 milioni, il GPL in 1,2 milioni di case.
Il settore energetico – evidenzia il rapporto – beneficia al contempo di rilevanti sussidi ambientalmente dannosi. Tre, nello specifico, quelli che interessano il riscaldamento residenziale. In primis, l’ecobonus – recentemente potenziato con l’aliquota del 110% (superbonus) – che incentiva non solo tecnologie rinnovabili, ma anche soluzioni che utilizzano combustibili fossili come il gas naturale: è il caso delle caldaie a condensazione, per le quali è previsto il totale rimborso delle spese da parte dello Stato. C’è poi l’agevolazione volta a ridurre il prezzo per l’acquisto di gasolio e GPL nelle aree non metanizzate (zone montane, Sardegna e isole minori), dove viene così rallentata la diffusione delle rinnovabili termiche. E ancora, l’aliquota IVA agevolata (pari al 10%) destinata ai consumi a uso civile per il riscaldamento degli edifici, applicata limitatamente ai primi 480 metri cubi di gas consumato nell’anno. Analizzando, in particolare, i risultati ottenuti in questi anni grazie al meccanismo dell’Ecobonus con detrazione del 50-65% per lavori tesi al risparmio energetico, l’installazione di caldaie a condensazione rappresenta la categoria prevalente in termini di numero d’interventi effettuati (quasi 100 mila), seguita dalle pompe di calore (69 mila). L’installazione di pannelli solari termici resta invece marginale, con circa 5 mila interventi. Sussidi e incentivi – conclude il rapporto – che dovrebbero spingere la transizione verso sistemi più efficienti e a emissioni zero, come purtroppo non avviene, e che si rivelano invece privi di senso in un Paese impegnato nella decarbonizzazione, rappresentando un danno per il clima e rallentando gli investimenti nelle tecnologie pulite.
Fonte: Legambiente