La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 29593 del 10 novembre 2025, ha chiarito i profili di tutela della vita privata e familiare degli stranieri nel quadro delle modifiche normative introdotte dal d.l. n. 20 del 2023, convertito nella l. n. 50 del 2023, in materia di protezione complementare. La pronuncia si è resa necessaria a seguito di un rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., sollevato dal Tribunale di Venezia.
Secondo la Suprema Corte, le innovazioni legislative non hanno inciso sul nucleo fondamentale della tutela costituzionale e convenzionale della vita privata e familiare degli stranieri presenti in Italia. La protezione complementare può essere riconosciuta quando il richiedente dimostra un radicamento nel territorio nazionale sufficientemente significativo da far ritenere che il suo allontanamento, se non motivato da prevalenti esigenze di sicurezza o ordine pubblico, comporterebbe una lesione dei diritti fondamentali.
La Corte sottolinea che il radicamento acquisito nel corso del procedimento per la valutazione di protezioni maggiori non costituisce ostacolo all’erogazione della tutela complementare. La valutazione della sussistenza del diritto richiede un bilanciamento concreto e proporzionato, secondo i criteri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e confermati dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 24413 del 9 settembre 2021. Tra i fattori rilevanti, la Cassazione indica: la presenza di legami familiari sul territorio, la durata della permanenza, l’integrazione sociale e lavorativa, nonché il rapporto con la comunità locale, anche in relazione al rispetto delle sue regole.
In sintesi, la sentenza riafferma che il diritto alla protezione complementare non è esclusivamente condizionato dalla precedente richiesta di protezione internazionale, ma deve essere valutato anche in funzione del grado di integrazione e dei legami sviluppati dall’interessato in Italia, garantendo così un’interpretazione coerente con gli obblighi costituzionali e convenzionali dello Stato italiano.
Fonte: Massimario Corte di Cassazione