Forma e sostanza, già Aristotele e Platone ‘duellavano’ su questi concetti fondamentali del pensiero. Attenzione alle parole, le parole sono importanti, per citare Palombella Rossa, scrive l’ANSA per l’8 marzo sul tema della parità di genere. Il linguaggio è espressione sociale, segue l’evoluzione dei cambiamenti, testimonia il tempo.
Susanna Agnelli, ad esempio, voleva essere chiamata (quando lo era) senatore, Nilde Jotti “il presidente” (ma poi accettò l’uso dell’Ansa che la chiamava “la presidente”) e all’articolo maschile (“il presidente”) tornò Irene Pivetti. Oggi, Laura Boldrini, presidente della Camera, da sempre attenta alla parità di genere, chiede di essere chiamata “la presidente”, sottolineando con l’uso corretto dell’articolo femminile sia il suo genere sia il suo ruolo.
Il consiglio regionale della Sardegna è intervenuto addirittura con una norma ad hoc: da qualche mese la comunicazione istituzionale della Regione, dovrà declinare ruoli e professioni al femminile. Lo prevede, infatti, in un articolo dedicato allo sviluppo delle politiche di genere e alla revisione del linguaggio amministrativo, la legge sulla semplificazione appena approvata.
Clamoroso, qualche giorno fa, il blitz contro la parità di genere «linguistica» di Giorgio Napolitano, che ha definito «orribile» l’ appellativo di «ministra» e addirittura «abominevole» quello di «sindaca». Il presidente emerito l’ ha detto durante la consegna del premio De Sanctis, davanti a Laura Boldrini.
«Ora mi ridai la targa…» gli ha detto scherzosamente lei. «Continuerò a chiamarti signora presidente, come facevo con Nilde Jotti» ha replicato Napolitano. E sulla stessa posizione si è schierato il noto critico d’arte Vittore sgarbi con la consueta vis polemica.
Ma il problema di una fatica di declinare al femminile determinati ruoli e professioni non sembra, a ben guardare, essere solo italiano.
Cosa accade altrove? Da Babbel, la app per parlare le lingue, arriva un’analisi sull’evoluzione di alcuni termini quando una donna è arrivata a ricoprire una carica molto alta attraverso le notizie dei media in alcuni paesi.
Francia
In Francia è molto difficile perpetrare cambiamenti di questo genere. È infatti l’Académie française, l’organo principale della “salvaguardia della lingua” che, diversamente dal suo parallelo in Italia, vi si oppone ufficialmente. Per rendere quindi il termine “Ministra” si aggiungerà “Madame” a “il ministro,” creando un ibrido curioso come “Madame le ministre” (signora il ministro).
Il dibattito però esiste e sempre più spesso il termine “Madame la Ministre” (signora “la” ministra) viene usato anche in occasioni ufficiali a dimostrazione che quando la realtà cambia anche la terminologia si adatta.
Germania
La lingua tedesca aggiunge in generale un suffisso al termine maschile, normalmente -in. Ad esempio avvocato sarà “Anwalt” per il maschile e “Anwältin” per il femminile. Per titoli accademici però resta ancora il termine maschile preceduto da un “Frau” (signora). Il titolo accademico di “Dottore di ricerca” sarà quindi “Frau Doktor” e non “Doktorin”.
Quando Angela Merkel è diventata Cancelliera anche i giornali non erano più tanto sicuri: dovevano chiamarla “Frau Bundeskanzler” o “Frau Bundeskanzlerin? In fondo era la prima volta che succedeva. Da subito Angel Merkel ha chiarito qualsiasi dubbio: lei era la “Frau Bundeskanzlerin” (Cancelliera). Una curiosità: anche nella conservatrice Francia si sono adattati col tempo all’uso della traduzione letterale “Madame la Chancelière”. Il problema? Il termine “la Chancelière” non aveva in francese questa accezione, ma significava la moglie del cancelliere o… uno scaldapiedi. Cambia la società, cambia l’uso delle parole.
Polonia
Il femminile delle professioni si forma normalmente aggiungendo il suffisso -ka alla forma maschile: “nauczyciel – nauczycielka” (maestro – maestra). Il problema diventa visibile quando si scopre che lo stesso suffisso è usato anche per la forma diminutiva: kawa – kawka (caffè – caffettino). E così fa notizia quando una donna in politica come Joanna Mucha, ministro polacco dello Sport e del Turismo dal 2011 al 2012, decide di non usare il termine convenzionalmente accettato di pani minister ( “signora ministro”) ma la versione femminile “ministra” (ricalcata dal latino) snobbando anche il possibile neologismo ministerka (sebbene inesistente tanto quanto ministra), per non incorrere nel diminutivo.
Brasile
La maggioranza dei prefissi in portoghese presenza una distinzione tra maschile e femminile. Alcuni termini si riferiscono però ad entrambi i generi, ad esempio parole che terminano in “ente”, “ante”, “inte” e “ista”.
Alcune professioni che storicamente non avevano un parallelo al femminile non hanno tuttora un suffisso femminile. Il termine “presidente” però, come da regola, non avrebbe bisogno di un termine extra, dato che esiste ed è corretto il termine “a presidente”. Esiste anche una corrente che accetta la versione “a presidenta” e il fatto che l’ex presidentessa del Brasile Dilma Roussef abbia deciso di scegliere quest’ultima acquista una connotazione politica che non è sfuggita ai media.