E’ stato presentato ieri a Roma il VI Rapporto “Agromafie” che rileva come l’agroalimentare rappresenti un terreno assai fertile per la malavita con un impatto critico sul tessuto economico, sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. Dal documento elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare emerge una rete criminale che s’incrocia con la filiera del cibo, dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita. Le nuove leve mafiose in parte provengono dalle tradizionali “famiglie” che hanno indirizzato figli, nipoti e parenti vari agli studi in prestigiose università italiane e internazionali e in parte sono il prodotto di una operazione di “arruolamento”, ben remunerato, di operatori sulle diverse piazze finanziarie del mondo. Si tratta di persone acculturate, che parlano più lingue, con importanti e quotidiane relazioni internazionali al servizio del business mafioso che, proprio grazie a loro, assume e consolida un carattere transnazionale e globale. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato sono la moltiplicazione dei prezzi, che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, i pesanti danni di immagine per il made in Italy in Italia e all’estero e i rischi per la salute con 399 allarmi alimentari, più di uno al giorno nel 2018 in Italia, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati del Sistema di allerta rapido dell’Unione europea Rasff. Senza trascurare le conseguenze sull’ambiente con le discariche abusive e le illegalità nella gestione dei rifiuti che fanno registrare oltre 30.000 ecoreati all’anno in Italia.
Lo scorso anno si è confermata anche la parabola di fenomeni criminali con furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall’olio al vino) e animali con un ritorno dell’abigeato con veri e propri raid organizzati a livelli quasi militari strettamente connessi con la macellazione clandestina. A tutto questo, viene sottolineato nel Rapporto, si aggiungono racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione nelle campagne mentre nelle città, silenziosamente, i tradizionali fruttivendoli e i fiorai sono quasi completamente scomparsi, sostituiti da egiziani indiani e pakistani che controllano ormai gran parte delle rivendite sul territorio: quasi un “miracolo all’italiana” affiancato però dal dubbio che tanta efficacia organizzativa possa anche essere il prodotto di una recente intromissione mafiosa per il marketing.
“Siamo ormai di fronte a organizzazioni che esprimono una ‘governance multilivello’ o più ‘governance multilivello’ sempre più interessate a sviluppare affari in collaborazione che non a combattersi – hanno detto il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, e il presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie, Gian Carlo Caselli – Il comparto agroalimentare si presta ai condizionamenti e alle penetrazioni: poter esercitare il controllo di uno o più grandi buyer significa poter condizionare la stessa produzione e di conseguenza il prezzo di raccolta – hanno aggiunto – così come avere in proprietà catene di esercizi commerciali o di supermercati consente di determinare il successo di un prodotto rispetto ad altri. Si può ormai ragionevolmente parlare di mafia 3.0. – hanno concluso Fara e Caselli – La ‘struttura intelligente’ si pone al servizio trasversale delle diverse organizzazioni, accogliendone le disponibilità finanziarie per valorizzarle e accrescerle attraverso modalità dall’apparenza lecita”.
“Le agromafie sono diventate molto più complesse e raffinate – ha detto il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – e non vanno più combattute solo a livello militare e di polizia ma vanno contrastate a tutti i livelli: dalla produzione alla distribuzione fino agli uffici dei colletti bianchi dove transitano i capitali da ripulire, garantendo al tempo stesso la sicurezza della salute dei consumatori troppo spesso messa a rischio da truffe e inganni solo per ragioni speculative. Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto – ha evidenziato Prandini – confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita Commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti”.