Le elezioni francesi, primo e secondo turno, confermano un dato molto allarmante: la globalizzazione ha perso il suo aspetto positivo e mostra esclusivamente quello negativo, quasi minaccioso. La crisi economica, non ancora superata dall’Europa, le guerre che si avvicinano sempre più al confine europeo, al Sud ma anche ad Est, l’immigrazione sempre più difficile da controllare, la polverizzazione della classe borghese, un’Europa tecnocratica incapace di reagire alle sfide strutturali del pianeta, lo stravolgimento del modello sociale che ha messo profondamente in crisi il welfare state hanno prodotto un forte disagio sociale in tutte le nazioni europee, anche se con un grado di intensità diverso da paese a paese.
Tutti i paesi europei sono pervasi da atteggiamenti politici populisti che cercano risposte ai bisogni di sicurezza dei cittadini. Le elezioni francesi hanno dimostrato che questo bisogno è forte e senza risposta e il tentativo, per ora schivato al secondo turno, di una fuga verso posizioni apparentemente più rassicuranti è sempre possibile. Lo Stato e la Nazione riacquistano una visione e una prospettiva impensabile fino a pochi anni fa. Forse potrebbe diventare l’ultimo luogo di rifugio per le aspettative dei cittadini in crisi di identità collettive.
L’entrata in vigore del “Bail in”, a partire dal 1° gennaio, correrà il rischio di essere interpretato come la messa in discussione dell’ultimo baluardo della sicurezza, il risparmio, e rafforzerà le critiche verso le istituzioni europee. Anche l’Italia sta vivendo lo stesso fenomeno che si registra nel Vecchio Continente e forse con proporzioni più accentuate. Secondo l’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del paese, La globalizzazione continua a dividere gli italiani: conserva un valore positivo solo per il 39%; il 47% ne dà invece un giudizio negativo; il 14% è incerto. Il 39% considera positivamente il protezionismo, contro il 46% che esprime una valutazione negativa e il 15% è dubbioso. Solo il 23% degli italiani ritiene che l’Ue tenga opportunamente conto dei nostri interessi nazionali (contro una media europea, riferita ai rispettivi interessi nazionali dei diversi Paesi membri, pari al 40%), mentre due terzi (il 67%) sono convinti del contrario. Gli italiani si distinguono per un livello di fiducia accordato alle diverse istituzioni politiche più basso di quello espresso dai concittadini europei: solo quote minime hanno fiducia nei partiti politici (9%), nel Governo (16%), nel Parlamento nazionale (17%), e la percentuale di quanti ripongono fiducia nell’operato delle autorità regionali e locali (il 22%) è meno della metà di quanto si riscontra in media nel resto del continente (47%). Bassi anche i giudizi di fiducia su Commissione europea (39%) e Bce (35%). Solo l’Euro si salva: ottiene il 59% di giudizi positivi.
Il disorientamento dei cittadini europei è al massimo livello degli ultimi anni e il doppio turno francese ha consentito che le rassicurazioni offerte dai “repubblicani” mettessero in secondo piano le spinte verso il sovvertimento della situazione di fatto. Ma nelle nazioni dove esiste o esisterà un sistema elettorale diverso cosa accadrà? Siamo sicuri che altri attentati, come quello parigino, in prossimità di altre elezioni non causeranno un’influenza maggiore, tanto da mettere a repentaglio la stessa Unione europea? Questo è il momento per cambiare politica economica in Europa e in tutti gli Stati membri come frutto del prevalere di una nuova visione culturale. Non sembra, però, di intravederne le prime anticipazioni