Sulla vicenda della famiglia Mastella, marito e moglie, servirebbero le scuse.
L’uso distorto dell’inchiesta giudiziaria, con l’evidente obiettivo di condizionare o peggio ancora alterare la dialettica politica, eliminando dalla scena pubblica personaggi ingombranti, piccoli o grandi partiti, uomini delle istituzioni, non è degno di una sana democrazia.
In ogni caso, mettere sotto accusa la magistratura, quando invece è grazie ad essa che faticosamente si perviene a correggere un errore, suscita sentimenti di viva preoccupazione.
Le scuse andrebbero rivolte al popolo italiano. Non è stato concusso, ovviamente, il diritto di ogni cittadino di esprimere un libero giudizio – favorevole o sfavorevole – su un uomo politico (in questo caso su Mastella). Formalmente eravamo tutti liberi prima e tutti siamo liberi oggi.
Il problema è che la combinazione perversa di due fattori convergenti, da un lato la fragilità della politica (almeno in alcuni passaggi decisivi degli ultimi vent’anni) e dall’altro l’uso improprio della giustizia, spingono l’opinione pubblica verso derive di profonda irritazione, non disgiunta da pericolosa frustrazione.
Il degrado della democrazia passa attraverso le più svariate manifestazioni di opposte forzature e presunzioni. Di questo dobbiamo avere piena coscienza, altrimenti scivoliamo nella confusione e scambiamo allegramente gli effetti con le cause.
Mastella oggi è sindaco della città di Benevento. La sentenza di assoluzione rilegittima la sua elezione: i beneventani non hanno scelto un malfattore, ma un uomo politico rispettabile.
Poco importa, nell’economia di questo ragionamento e per il ruolo del nostro Giornale, quale sia il “colore” della giunta guidata da Mastella. Più di ogni altra considerazione, vale infatti il riconoscimento di ciò che significa l’esito di un iter giudiziario durato troppo a lungo, ma infine risplendente, per fortuna, come un sole che illumina e riscalda l’intera scena democratica del Paese.