La banda ultralarga, vale a dire con una velocità superiore ai 30 mega, copre circa l’80% del territorio italiano, ma “manca di capillarità”. Lo rileva una ricerca realizzata da EY in collaborazione con Ipsos e Centro studi di Intesa Sanpaolo, che ha censito più di 11mila zone industriali in cui sono attive più di 480mila imprese (circa il 10% del totale), di cui solo un terzo è raggiunto dalla banda ultralarga fissa. Diversi fattori determinano questo ritardo. Il settore pubblico, per esempio, rappresenta ancora un freno, con l’Italia che si colloca al 21/mo posto su 28 per indice di egovernment: in particolare, afferma lo studio, nonostante il livello d’implementazione dei servizi pubblici digitali sia in linea con quello di altri Paesi europei, l’Italia è ultima riguardo al loro utilizzo, a causa delle scarse competenze digitali dei cittadini-utenti e delle difficoltà di apprendimento delle nuove piattaforme di comunicazione e social.
Un altro freno è rappresentato da fattori culturali: il 54% degli intervistati, infatti, denuncia una ‘resistenza al cambiamento’ e il 27% la ‘mancanza di competenze specifiche’. C’è poi un tema relativo alle dimensioni: l’11% delle aziende con più di 250 addetti ha un livello di digitalizzazione molto alto, contro l’1% delle pmi. E’ anche vero che il 66% delle aziende ha utilizzato gli incentivi disponibili, tuttavia li ha sfruttati per investimenti non particolarmente innovativi.
Insomma, ha concluso l’amministratore delegato di EY in Italia, Donato Iacovone, che ha presentato la ricerca al Digital Summit di Capri, “nel processo di trasformazione digitale che sta investendo la nostra economia, l’Italia paga un’insufficienza di cultura e di competenze digitali e una scarsa dinamicità delle start-up”, limiti che vanno superati con una “contaminazione di fattori esterni”. Quindi “lo stimolo all’introduzione di nuove tecnologie può arrivare dai clienti, da consulenti/provider tecnologici o anche dai dipendenti”.