Scosse di varia entità e durata rasero al suolo interi paesi del Friuli, fecero tremare la terra ed il cuore degli abitanti colpiti. Tremare si, ma non fermare la volontà di ricostruire tutto com’era, dov’era. Cittadini, sindaci, volontari venuti da ogni parte d’Italia, e non solo, si misero subito a lavorare per una nuova ripartenza. Con gli occhi ancora bagnati di pianto, con le speranze spezzate ma non annientate. Un patrimonio di valori quello della ricostruzione dopo il sisma del 1976 dove rilancio, solidarietà, capacità d’intervento portarono non senza fatica alla rinascita sociale ed economica dell’intero territorio.
Il terremoto del 6 maggio 1976 in Friuli fu un sisma di magnitudo 6.4 della Scala Richter che colpì l’intera regione e si avvertì distintamente anche in Veneto. Ulteriori scosse vi furono l’11 e il 15 settembre dello stesso anno. La zona maggiormente colpita fu quella a nord di Udine, ma le scosse spaventarono tutto il Nord Italia, investendo principalmente 120 comuni con danni di diversa importanza. I morti furono 975, i feriti 3.000, le persone rimaste senza casa più di 100.000. Anche le aree dell’alta e media valle del fiume Isonzo, in territorio jugoslavo (oggi Slovenia) vennero colpite, interessando in particolare i comuni di Tolmino, Caporetto, Canale d’Isonzo e Pezzo. Nonostante una lunga serie di scosse di assestamento che continuarono per diversi mesi, la ricostruzione fu rapida e completa. L’8 maggio, a soli due giorni dal sisma, il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia stanziò con effetto immediato 10 miliardi di lire. Il 15 settembre del 1976, il Governo Andreotti nominò Giuseppe Zamberletti commissario straordinario incaricato del coordinamento dei soccorsi. Gli fu data carta bianca, salvo approvazione a consuntivo che il Parlamento accolse. In collaborazione con le Amministrazioni locali, i fondi statali destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente dal commissario straordinario Zamberletti assieme al governo regionale del Friuli Venezia Giulia. L’ospitalità alle persone rimaste senza tetto né riferimenti materiali, venne garantita in modo ordinato e non casuale, grazie all’organizzazione e all’assistenza dei comuni ospitanti e del volontariato locale. Oltre 40.000 sfollati passarono l’inverno nelle località di Grado, Jesolo, Lignano ed altri comuni costieri, per rientrare tutti entro la fine di marzo 1980 in villaggi prefabbricati costruiti nei rispettivi paesi di residenza. L’unità e la coesione delle comunità territoriali furono conservate, trasferendo intere collettività nella medesima località, compresi i servizi comunali e le scuole.
La ricostruzione complessiva durò 10 anni. Terminato il mandato di Zamberletti, il Friuli Venezia Giulia, grazie a una efficiente gestione delle risorse riuscì, nell’arco di un decennio, a ricostruire interi paesi. Ancora oggi il modo in cui fu gestito il post terremoto viene ricordato come un altissimo esempio di capacità, serietà, lavoro e coordinamento. Il disastro diede un significativo impulso alla formazione della Protezione civile. In Friuli Venezia Giulia i sindaci dei comuni colpiti lavorarono a stretto contatto con il commissario straordinario fin dall’inizio dell’emergenza.
Con l’aiuto e la collaborazione spontanea delle amministrazioni comunali interessate vennero creati i “dipartimenti assistenziali”, ovvero i luoghi per il ricovero delle persone rimaste senza casa e, per la prima volta, furono istituiti i “centri operativi” atti a realizzare in ciascun comune della zona colpita, un organismo direttivo composto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e private sotto la direzione del sindaco, con il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, in virtù del suo ruolo attivo e della conoscenza delle caratteristiche del territorio e delle sue risorse. Anche nella fase della ricostruzione venne dato potere decisionale ai primi cittadini per avere un controllo diretto sul territorio che allo stesso tempo facesse sentire le istituzioni vicine alla collettività.
La popolazione partecipò attivamente alla ricostruzione del tessuto sociale e urbano secondo il “modello Friuli, com’era, dov’era” e la domanda sgomenta posta dal poeta friulano Amedeo Giacomini di fronte alle rovine del suo paese ebbe una risposta. “Dove sei Gemona, fanciulla ridente, occhi di seta, neri capelli inghirlandati d’acacia, sospiro di primavera?”