Sabino Cassese è intervenuto come suol dirsi a gamba tesa per stroncare il progetto del governo, illustrato dal sottosegretario Angelo Rughetti, sulla immissione di nuovo personale nella Pubblica amministrazione. Oggi, sul Corriere della Sera, ha esordito con questa lapidaria affermazione: “Annuncio preoccupante e pericoloso, quello del sottosegretario per la Funzione pubblica, che ha lanciato un ‘grande progetto per il Paese’, consistente in mezzo milione (ma potrebbero salire a 600 mila) di posti di lavoro nei prossimi quattro anni nelle pubbliche amministrazioni. L’annuncio è stato seguito da un coro di consensi sindacali e ha il sapore di una promessa pre-elettorale, non fatta, però, dal presidente del Consiglio dei ministri, come dovrebbe essere, data la sua entità”.
L’editoriale prosegue con la consueta forza argomentativa che solitamente nelle note di Cassese affidate alla carta stampata si riscontra. Non è in discussione, pertanto, la coerenza e il fondamento della presa di posizione. Il dubbio nasce semmai dalla sensazione, ben viva allo scorrere delle righe, che si stagli un pregiudizio sulla capacità dello Stato di organizzare in maniera ordinata ed efficace una politica assunzionale in linea con le reali esigenze dell’apparato pubblico, centrale e locale.
In effetti, la proposta di Rughetti enuncia esattamente questa volontà: scansare l’ipotesi di una pura e semplice reintegrazione del personale giunto ormai alla soglia della pensione e puntare, viceversa, a una razionale procedura di riassetto funzionale, partendo dalla individuazione di nuove e qualificate figure professionali. È uno scenario implausibile, si tratta di un discorso immeritevole di fiducia? Qui pare affacciarsi l’ingiustificata prevenzione di Cassese.
Se il dibattito prendesse un’altra via, quella cioè di un sano pragmatismo, forse si uscirebbe dal perenne labirinto di obiezioni e contrasti preannunciati. Il merito di Rughetti consiste proprio nel fatto che la sua uscita invita a prendere atto della necessità di ‘pensare’ a un grande riordino della struttura organizzativa dello Stato, in armonia con l’analogo riordino del mondo delle autonomie locali. È un’occasione da non perdere per l’impatto che potrebbe, anzi che dovrebbe avere sulla qualità del rapporto tra burocrazia e cittadino.