Un principio fondamentale per la validità degli atti processuali è stato ribadito dalla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia, con la sentenza n. 16 depositata in data odierna. Il collegio, presieduto da Grazia Bacchi con relatore Sergio Antonio Prestianni, ha dichiarato la nullità di un atto di citazione per danno erariale ritenendolo troppo generico e non “autosufficiente” nell’esposizione dei fatti.
La decisione fa chiarezza sull’interpretazione dell’articolo 86 del Codice di Giustizia Contabile (c.g.c.), che richiede l’esposizione chiara e completa dei fatti, ovvero la causa petendi, a sostegno della pretesa risarcitoria.
Secondo la Corte, l’atto di citazione non può limitarsi a un rinvio per relationem alla documentazione versata in atti, come ad esempio i fascicoli di un procedimento penale o disciplinare. Sebbene i documenti allegati possano avere una funzione probatoria e di supporto interpretativo, non possono in alcun modo sopperire alla mancanza di una narrazione chiara e autosufficiente della vicenda all’interno della citazione stessa.
La giurisprudenza contabile e della Corte di Cassazione, richiamata nella sentenza, è concorde: il convenuto (e il giudice) devono essere in grado di comprendere l’addebito senza dover “consultare e ricostruire autonomamente il contenuto di voluminosi fascicoli esterni.”
Nel caso specifico, l’atto della Procura contabile è stato giudicato nullo perché presentava una contestazione generica delle condotte illecite, limitandosi a richiamare, tra l’altro, l’atto di contestazione disciplinare e gli atti del procedimento penale.
In sostanza, l’atto di citazione deve definire con precisione il tema della decisione (thema decidendum) in modo autonomo. I documenti di supporto servono a integrare e supportare, non a sostituire, il contenuto essenziale e obbligatorio richiesto dalla legge.
Fonte: Ufficio Massimario della Corte dei Conti