Personale in calo nella Pubblica amministrazione a eccezione del comparto sanitario. Meno lavoratori pubblici rispetto agli altri Paesi europei e una Pa “anziana”, con un’età media di 50 anni. Sono alcuni dati emersi dalla ricerca sul lavoro pubblico presentata a FORUM PA 2021, la manifestazione che fino al 25 giugno ospiterà oltre 200 eventi in streaming sul tema guida “Connettere le energie vitali del Paese”, attorno alle missioni, agli obiettivi e agli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il rapporto rileva, inoltre, che si investe poco in formazione e competenza, con un impiego complessivo, nel 2019, di 110 milioni in meno rispetto a 10 anni fa. Il ricorso allo smart working, prima della pandemia, era quasi inesistente: circa l’1% nel 2019. Con i provvedimenti del Governo il lavoro agile ha riguardato, nel secondo trimestre del 2020, un dipendente su tre (il 33%). Ad eccezione del 58% del personale impiegato nell’istruzione e della sanità che non ha potuto far ricorso allo smart working.
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si legge ancora nel rapporto, saranno previsti investimenti in Capacità Amministrativa della Pa per 1,3 miliardi, e ulteriori 0,4 miliardi di fondi strutturali UE e cofinanziamento nazionale.
Nel 2020 il blocco dei concorsi non ha permesso al turnover di ritrovare un equilibrio
La Pubblica Amministrazione italiana al 1° gennaio 2021 conta 3,2 milioni di dipendenti, 31 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,97%), il minimo storico degli ultimi 20 anni. Dopo il timido segnale di crescita del personale del 2019, nel 2020 il blocco dei concorsi per l’emergenza sanitaria e l’accelerazione dei pensionamenti non ha permesso al turnover di ritrovare un equilibrio. La PA italiana si conferma vecchia (in media 50 anni di età), scarsamente aggiornata (mediamente 1,2 giorni di formazione per dipendente l’anno), in difficoltà ad offrire servizi adeguati a imprese e cittadini (il 76% degli italiani li considera inadeguati, mentre gli europei insoddisfatti sono il 51%), eppure chiamata ad essere il motore della ripresa.
Nel prossimo triennio almeno 300 mila persone usciranno dal pubblico impiego
Intanto sono arrivati a 3,03 milioni i pensionati da lavoro pubblico, in un rapporto di 94 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi. E l’esodo è destinato ad aumentare: come descritto nello stesso PNRR, nel prossimo triennio almeno 300 mila persone usciranno dal pubblico impiego (ma probabilmente saranno molte di più, se si considera che oltre 500 mila dipendenti hanno già oltre 62 anni e 183 mila hanno raggiunto oltre 38 anni di anzianità di servizio). Si è aperta però una nuova stagione dei concorsi, con lo sblocco delle prove selettive e un’importante semplificazione delle procedure, destinati ad accelerare l’inserimento di personale necessario a garantire il funzionamento della macchina pubblica. Secondo la fotografia del Dipartimento Funzione Pubblica, nel 2021 sono previsti 119 mila nuovi ingressi a tempo indeterminato nella PA: 9.875 posizioni tra regioni, servizio sanitario, comuni, università, enti pubblici non economici, enti di ricerca e avvocatura dello stato, a cui si aggiungono circa 91 mila posti della scuola e 18.014 posti di concorsi banditi, conclusi o da concludere.
Il calo del personale
Dopo una discesa durata oltre 10 anni, il numero dei dipendenti pubblici era risalito dello 0,5% nel 2019. Ma il numero è tornato a scendere del -0,97% nel 2020, fissandosi a 3.212.450, circa 31 mila persone in meno rispetto all’anno precedente. Prefetti, Ministeri, Agenzie Fiscali, Enti Pubblici non economici e Città Metropolitane hanno perso tra il 5% e il 7% del personale, i Comuni più del 2%. L’unico comparto con una crescita significativa dell’occupazione a tempo indeterminato è la Sanità.
Il confronto europeo
Dal confronto europeo, i lavoratori pubblici italiani in rapporto al totale non sono numerosi. Oggi in Italia opera nel settore pubblico il 13,4% dei lavoratori, meno che in Francia (che ha 5,6 milioni di dipendenti pubblici, il 19,6% del totale dei lavoratori), nel Regno Unito (5,2 milioni, il 16%,) o in Spagna (3,2 milioni, il 15,9%) ma più della Germania (4,8 milioni, il 10,8% del totale). Nel confronto con questi paesi è più basso anche il rapporto tra numero dei dipendenti pubblici e residenti: in Italia sono il 5,6%, in Francia l’8,4%, in Inghilterra il 7,8% e nella Spagna il 6,8%.
L’invecchiamento
La PA italiana è anziana. L’età media (in leggero calo) è 50 anni, con ampie differenze tra i comparti: supera i 55 anni in enti come Cnel, Presidenza del Consiglio e Carriera Penitenziaria, è di 39 anni nelle Forze Armate. Gli over 60 rappresentano il 16,3%, gli under 30 appena il 4,2%. È “pensionabile”, perché ha già compiuto 62 anni, il 16,3% del totale, oltre 500 mila persone, ma ce ne sono anche 180 mila che hanno maturato 38 anni di anzianità. Guardando solo l’anzianità contributiva, da Regioni e autonomie locali potrebbe andare in pensione il 10,9% dei dipendenti, dalle amministrazioni ministeriali il 15,2%. Guardando il requisito anagrafico si stima un’uscita di circa 105 mila persone dal SSN nell’arco dei prossimi 3-4 anni, di 215 mila persone dalla scuola.
Competenze e formazione
Sulla formazione dei dipendenti pubblici l’Italia continua ad investire poco. Nel 2019, l’ultimo anno fotografato dalla Ragioneria dello Stato, l’investimento complessivo è stato di 163,7 milioni di euro, 110 milioni in meno rispetto a 10 anni fa, che corrispondono a una media di 1,2 giorni di formazione l’anno. I laureati nella PA sono il 41,5%, cresciuti del 21,5% negli ultimi 10 anni, ma con un predominio di giuristi: 3 su dieci sono laureati in giurisprudenza, il 17% in economia, il 16% in scienze politiche o sociologia. Secondo i dati Istat la formazione è soprattutto su competenze tecnico specialistiche (45,2% dei partecipanti) e giuridico-normativa (30,9%), mentre solo una minoranza ha svolto corsi per accrescere competenze digitali (5%) o di project management (2,3%).
Spesa e indebitamento
Nel 2020 l’Italia ha speso 173,4 miliardi di euro per i redditi da lavoro dipendente nel settore pubblico, +0,3% rispetto al 2019, un incremento ben inferiore al +2,4% inizialmente preventivato per la crescita di personale. Ma nei prossimi anni si prospetta una crescita a livelli mai raggiunti nell’ultimo decennio, tra rinnovi contrattuali e arretrati, perequazioni, aumenti Covid per il personale sanitario e assunzioni in deroga: la spesa per redditi aumenterà di circa 4 miliardi nel 2021, per raggiungere il picco di 187 miliardi nel 2022. Un calo delle entrate complessive di 54 miliardi e maggiori spese per 75 miliardi, invece, hanno portato l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche nel 2020 a -156.860 milioni di euro, il 9,5% del Pil, in aumento di circa 129 miliardi rispetto al 2019 (quando era -27.901 milioni di euro, l’1,6% del Pil).
Smart Working
Prima della pandemia il ricorso a forme di lavoro agile era sostanzialmente irrilevante, circa l’1% nel 2019 secondo l’ISTAT. I provvedimenti del Governo hanno portato in smart working un dipendente della PA su tre (il 33%) nel secondo trimestre 2020. Un buon risultato, anche se avrebbero potuto essere oltre il doppio, considerando che il 64,9% delle professioni della PA si potrebbe svolgere anche a distanza. Lo smart working, oltre a far sperimentare alle organizzazioni pubbliche una modalità inedita di organizzazione del lavoro è stato determinante per preservare i posti di lavoro: nei primi tre trimestri del 2020, tra i diversi settori economici solo la Pa non ha subito contraccolpi occupazionali della crisi (con posizioni lavorative e monte ore lavorate pressoché invariate).
L’esposizione al virus
Non per tutti lo smart working è stato possibile. Una grande fetta della Pubblica amministrazione, il 58% del totale che lavora nell’istruzione e nella sanità, si è trovata a lavorare sulla linea di fuoco. Il settore della sanità e assistenza sociale registra il 66,5% di tutte le denunce di infortunio sul lavoro da Covid19 all’Inail nel comparto industria e servizi da inizio epidemia al 30 aprile 2021, seguito dall’amministrazione pubblica (tra cui Asl, regioni, province e comuni) con il 9,2%. E la sanità conta anche la maggioranza (26%) di denunce di infortunio con esito mortale da Covid19. La professione più coinvolta dai contagi durante l’emergenza è quella dei tecnici della salute (38% di denunce Inail, soprattutto infermieri), seguita dall’operatore socio-sanitario con il 18,7%, il medico con l’8,7%, l’operatore socio-assistenziale con il 7,1%.
Next Generation Pa
Nel PNRR saranno previsti investimenti in Capacità Amministrativa della Pa per 1,3 miliardi di euro, più ulteriori 0,4 miliardi di fondi strutturali UE e cofinanziamento nazionale. Nel dettaglio, investiremo l’1,6% del totale previsto, pari a 20,5 milioni di euro, in politiche e strumenti per l’accesso e il reclutamento, a cui sommare 4,5 milioni del POC – Pon Governance; il 57,9%, pari a 734,2 milioni di euro, nella Buona Amministrazione, più 4 milioni che stiamo già spendendo sul Pon Governance 21-23; il 40,5%, pari a 514,2 milioni di euro, in Competenze e Carriere delle persone, a cui vanno sommate risorse complementari per 392 milioni.
Fonte: Ministero per la Pa