Potrebbe apparire un paradosso ma il dato viene fuori da cifre incontrovertibili dell’Istat: in pensione a 67 anni dal 2019 e quasi a 70 nel 2050. Ad oggi, in base agli “scenari demografici” a disposizione “è possibile delineare la futura traiettoria dei requisiti di accesso al pensionamento”: dai “66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019”. Queste le parole del presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, in audizione alla Camera, sulle proposte di legge per l’equità. Dal 2021 salirebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2021 mentre, spiega, “per i successivi aggiornamenti fino “a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.
Il presidente dell’Istat ha sottolineato che l’accesso al trattamento pensionistico si sposterà sempre più avanti. Considerando gli scenari demografici, Alleva ha delineato “la futura traiettoria dei requisiti d’accesso al pensionamento”.
“Dai 66 anni e 7 mesi in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018 si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019 – ha evidenziato – quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello del 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta, con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.
Il presidente dell’istituto di statistica ha spiegato poi che i laureati italiani fanno fatica a inserirsi nel mondo del lavoro rispetto alle generazioni che li hanno preceduti: “Nonostante la ripresa dell’occupazione in atto – ha affermato Alleva – le condizioni del mercato del lavoro rappresentano un elemento di criticità per le storie contributive delle nuove generazioni, caratterizzate da carriere lavorative discontinue e da un ingresso sul mercato del lavoro differito rispetto a quanto sperimentato dalle precedenti generazioni”.
“In Italia oltre tre quarti della forza lavoro della fascia 15-34 anni è costituita da giovani che hanno 25 anni che – ha evidenziato – avendo completato gli studi si affacciano sul mondo del lavoro”. Si tratta, ha detto Alleva, di “generazioni che rischiano di non avere una storia contributiva adeguata con importi pensionistici più bassi”.
Il presidente dell’Istat ha quindi messo l’accento sul lavoro precario o atipico, sottolineando che “la quota di lavoratori temporanei, già in partenza più consistente fra i giovani, aumenta dal 1997” e che, “tra il 2008 e il 2016, nella classe 15-34 anni, la quota di dipendenti a termine e collaboratori aumenta di 5,6 punti: dal 22,2% al 27,8%”.
Secondo i dati snocciolati da Alleva, infine, anni e anni di studio non servirebbero a scongiurare il lavoro precario: “L’occupazione atipica al primo lavoro cresce all’aumentare del titolo di studio – ha concluso – essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario”.