La gestione e rendicontazione dei resti da riscuotere, come risultante dal Rendiconto generale dello Stato e dall’Allegato 24 al conto consuntivo delle entrate, presenta numerose criticità. Se, apparentemente, dopo la loro riduzione in base alla probabilità della riscossione, le somme di riscossione certa (anche se l’effettiva riscossione è ritardata) dovrebbero avere un elevato livello di affidabilità ed attendibilità, sembra rimanere una divergenza tra gli importi ritenuti tali nel conto consuntivo – e che, quindi, sono considerati ai fini della determinazione del valore delle entrate complessive – e quelli effettivamente riscossi. Più precisamente, ogni anno, dei 160/170 miliardi di euro circa (di cui 60/70 in conto competenza) che vengono mediamente considerati di riscossione certa, in concreto ne vengono effettivamente riscossi 7/8 miliardi di euro, non risultando quindi sufficientemente dimostrati i criteri di costruzione delle stime effettuate o comunque delle annotazioni contabili relative alle somme ritenute di riscossione certa (presumibilmente comprensive delle dilazioni di pagamento e, soprattutto, delle somme giudiziariamente controverse, tutt’altro che “certe”).
E’ quanto si legge nell’indagine della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, approvata con delibera n. 7/2021/G, su “La gestione dei residui di riscossione nel bilancio dello Stato”, ossia dei crediti vantati dallo Stato, già accertati e iscritti in bilancio, ma ancora non riscossi, con particolare riguardo per le risultanze dell’Allegato 24 al conto consuntivo delle entrate, che rendiconta i predetti resti, classificati in base al grado di esigibilità e ridotti secondo la probabilità della riscossione.
La Corte raccomanda la corretta applicazione del disposto normativo che impone di scorporare, dalle somme considerate di riscossione certa, le dilazioni di pagamento concesse e, soprattutto, le somme per le quali pende un contenzioso giurisdizionale (e, quindi, ritenute incerte ope legis), da considerare come prevedibili entrate non certo nella loro totalità, ma solo per la parte che presumibilmente verrà introitata in esito al contenzioso, secondo un giudizio prognostico/probabilistico.
Alle problematiche sopra rilevate si è affiancato l’emergere di discordanze contabili e rettifiche automatiche poste in essere dal sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato che hanno inciso sulla veridicità e attendibilità dei dati contabili di bilancio (discordanze, fra l’altro, annualmente evidenziate dalla Corte tra conti periodici riassuntivi e Rendiconto generale dello Stato, che hanno indotto le Sezioni Riunite della Corte a non parificare quest’ultimo, per le poste relative, in sede di giudizio di parificazione).
Al fenomeno, per la cui soluzione la Sezione del controllo ha prospettato alcuni possibili interventi informatici, dovrebbe porre rimedio la futura introduzione dell’istituto del c.d. accertamento qualificato, per il quale l’iscrizione nello stato di previsione dell’entrata avverrebbe in base alla prevedibile riscuotibilità del credito, consentendo di meglio governare la dinamica di incremento annuale dei resti da riscuotere, e, conseguentemente, l’incremento, in pari misura, delle somme riconosciute assolutamente inesigibili e dei valori di riduzione dei residui in base alla probabilità della riscossione.
La Corte ritiene, inoltre, che si debba provvedere con adeguati interventi, salvaguardando comunque le esigenze dell’erario attraverso la verifica delle situazioni giuridiche sottese alle ragioni creditorie, ad una riconduzione dei carichi residui affidati all’Agente della riscossione e, più in generale, dei resti da riscuotere oramai riconosciuti assolutamente inesigibili, a una rappresentazione più plausibile, attraverso la definizione delle posizioni (stratificate sin dal 2000). Successivamente occorrerà attivare prassi ordinarie di cancellazione dei crediti arretrati ritenuti inesigibili.