La violenza del virus che sta flagellando il Nord, a partire da focolai concentrati in alcuni piccoli Comuni lombardi e veneti, ha stupito tutti inducendo esperti di varie discipline a interrogarsi sulle cause possibili di questo singolare fenomeno. Di particolare interesse in tal senso le riflessioni di Carlo Gasparrini, componente della Giunta esecutiva dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) e responsabile del cluster delle community “Reti e infrastrutture”: “Colpisce che in Cina l’area di Wuhan, pur contando il ragguardevole numero di 17 milioni di abitanti, insista su un territorio molto concentrato. La nostra area di contagio, intendo quella per così dire principale, è invece ‘spalmata’ su un territorio ampio”, osserva in primo luogo Gasparrini. Per taluni analisti, questa circostanza ha un nesso con la piaga dell’inquinamento che caratterizza ampie zone della pianura padana. Il combinato disposto della significativa presenza di industrie e di elevata presenza insediativa, assieme alle particolari condizioni ambientali – sostengono – costringe da sempre “le città di questa vasta area del Nord Italia al costante monitoraggio dei valori delle emissioni, rendendo periodicamente necessarie per le amministrazioni misure di contenimento, su tutte i blocchi del traffico”. Potrebbe esserci, di conseguenza, una qualche correlazione, diretta o indiretta, tra inquinamento e facilità di contagio. Tesi da non scartare, ma non è di questo avviso Gasparrini.
“Ho ascoltato queste ipotesi – riflette – ricordiamoci però che si tratta di un rapporto non dimostrato. Francamente non so se si tratti di un problema di sofferenze polmonari accumulate nel corso dei decenni legate alle modalità di degrado e sofferenza a causa dell’inquinamento. Se fosse così, come si spiegherebbe il numero elevato di contagiati anche dove il tasso d’inquinamento è più contenuto, come le valli della provincia di Bergamo? Senza contare che tutto è partito da piccoli Comuni dove la qualità dell’aria è migliore. Ritengo perciò che sia azzardato pensare di affrontare ed esaminare la questione del contagio, e delle possibili soluzioni, da questo punto di vista. Questo naturalmente non deve sminuire la portata dei problemi legati alla qualità dell’aria, e la necessità di lavorare per costruire una qualità ecologica più elevata”.
L’esperto dell’INU prospetta invece un’ipotesi suggestiva e, forse, più credibile: un altro probabile e più potente “propagatore” del contagio potrebbe annidarsi nell’assetto di quel territorio colpito in prevalenza e in prima battuta nel nostro Paese. In altre parole, quando scoppia un’epidemia in quella che si configura come una vera e propria città diffusa, in cui è difficile persino stabilire dove finisce un paese e dove ne inizia un altro, la propagazione del virus è rapidissima, difficile da contrastare. “Ci sono delle caratteristiche di cui tenere conto –spiega – le mille traiettorie del pendolarismo casa-lavoro, del consumo, della scuola, del tempo libero e del divertimento giovanile anche notturno interessano un territorio urbanizzato molto vasto, senza soluzione di continuità e racchiuso in tempi di spostamento molto ridotti, quindi fortemente predisposto alla propagazione dell’infezione, a differenza di Wuhan dove la concentrazione della popolazione consente un controllo più facile. Un’ulteriore conferma, perciò, del fatto che la vulnerabilità è innanzitutto quella territoriale, causata dai modi in cui è stata costruita questa ‘città esplosa’ e quindi dal suo impressionante consumo di suolo”.
Se Gasparrini ha ragione – e diverse considerazioni lo fanno pensare – quando usciremo dall’incubo della pandemia, fra i tanti cambiamenti che bisognerà apportare, dovremo anche ripensare il modello di città da costruire e ricostruire.