La Corte di Giustizia europea ha stabilito nella sentenza n. C-3/19 del 4 giugno 2020 che una normativa nazionale che limiti la libertà di scelta dei piccoli enti locali di ricorrere a una centrale di committenza, prescrivendo a tal fine due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private, non viola l’obiettivo di libera prestazione dei servizi e di apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, perseguito dalla direttiva 2004/18, dal momento che essa non colloca alcuna impresa privata in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private.
L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18, come modificata dal regolamento n. 1336/2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali.