La normativa italiana sugli studi di settore è “conforme al diritto dell’Unione” a condizione che tali studi siano “accurati, attendibili e aggiornati” e il contribuente “possa difendersi adeguatamente davanti a un giudice imparziale”.
Queste le conclusioni dell’avvocato generale della Corte Ue Nils Wahl sulla causa intentata davanti alla commissione tributaria di Reggio Calabria da un cittadino che ha contestato l’accertamento dell’ agenzia delle entrate.
Ci troviamo di fronte all’ultimo passo del procedimento davanti alla Corte di giustizia Ue prima che venga pronunciata la sentenza.
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Nils Wahl ha proposto alla Corte di ritenere la normativa italiana in linea con il diritto dell’Unione “purché siano rispettati gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, ciò che spetta al giudice nazionale di verificare. Articoli – si spiega in una nota della Corte – che riguardano, rispettivamente, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale nonché la presunzione di innocenza e i diritti della difesa”.
Secondo le conclusioni dell’avvocato, la scelta di usare uno strumento quale gli studi di settore al fine di individuare i contribuenti che potrebbero non aver dichiarato la totalità dell’IVA e di valutare gli importi eventualmente esigibili appare rientrare nel margine di discrezionalità che la direttiva IVA riconosce agli Stati membri nell’individuare le misure e le sanzioni appropriate per assicurare la riscossione dell’IVA per intero e prevenire l’evasione.
Tuttavia, nelle conclusioni si precisa che qualsiasi rettifica effettuata dall’amministrazione fiscale “deve essere in grado di condurre a risultati veritieri” sull’ammontare dell’IVA spettante allo Stato (dovendosi tenere ben distinto il recupero dell’IVA in sé dalla sanzione per l’omesso o il ritardato pagamento). Pertanto, gli studi di settore, in quanto strumenti per il recupero dell’IVA, “devono essere accurati, attendibili e aggiornati”. Inoltre, tale meccanismo di accertamento induttivo deve prevedere, allo scopo di raggiungere un risultato veritiero, “un contraddittorio con il contribuente e la possibilità per quest’ultimo di offrire la prova contraria alle presunzioni utilizzate dall’amministrazione”.
Nella nota esplicativa della Corte si legge ancora, che “al contribuente deve essere concesso un tempo sufficiente per preparare la propria difesa e qualunque accertamento effettuato dall’amministrazione fiscale deve poter essere oggetto d’impugnazione dinanzi a un giudice in grado di esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto invocate dal contribuente”. In ogni caso, osserva ancora l’avvocato generale, “un contribuente responsabile per frode o evasione non può invocare il principio di neutralità, equiparando la sua situazione a quella di un contribuente che ha debitamente assolto i propri obblighi ai sensi delle regole nazionali e dell’Unione in materia di IVA”.