La Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2025, ha scrutinato la legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26.
Il Giudice delle leggi è intervenuto sulla disposizione nella parte in cui, a seguito dell’interpretazione assunta dalla giurisprudenza di legittimità (segnatamente la sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, n. 30994 del 2024), la violazione del divieto di cumulo della pensione anticipata «Quota 100» con i redditi da lavoro dipendente o autonomo comportava la sospensione dell’erogazione del trattamento per un’intera annualità, anche in presenza di un’attività lavorativa svolta per periodi esigui e con redditi di modestissima entità.
Il casus decisus e i parametri costituzionali evocati
La questione è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, chiamato a decidere sul ricorso di un pensionato «Quota 100» al quale l’Inps aveva richiesto la restituzione dell’intera annualità di pensione (circa € 24.000) a fronte di un’unica giornata lavorativa (otto ore per la raccolta dell’uva) con un compenso lordo di € 83,91.
Il rimettente ha censurato l’interpretazione del meccanismo ablativo, ritenendola in contrasto con plurimi parametri costituzionali:
- Articolo 3 della costituzione (principi di ragionevolezza e proporzionalità): L’ablazione dell’intero trattamento pensionistico annuale, a fronte di un reddito da lavoro subordinato irrisorio e limitato a singole giornate, è stata giudicata una conseguenza manifestamente sproporzionata. Tale esito, oltre a compromettere integralmente il sostentamento del soggetto, è stato ritenuto inidoneo a perseguire l’obiettivo del ricambio generazionale, che costituisce la ratio della disciplina, non potendo una prestazione lavorativa così contingentata incidere significativamente sulle dinamiche del mercato.
- Articolo 38, secondo comma, della costituzione: La privazione della protezione previdenziale per un anno intero, in ragione di un’attività lavorativa minima, finiva per vanificare il diritto al trattamento acquisito tramite la contribuzione.
- Articolo 117, primo comma, della costituzione (in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale Cedu): L’ablazione totale del diritto al «bene» previdenziale, funzionale al soddisfacimento di esigenze minime di vita, è stata reputata lesiva del diritto al rispetto dei beni, in assenza di un motivo di interesse generale idoneo a giustificare un sacrificio così estremo.
La decisione e l’esigenza di una modulazione temporale
La Consulta, sebbene abbia preliminarmente discusso l’eccezione di inammissibilità (incentrata sull’assenza di un vero e proprio «diritto vivente» in quanto la pronuncia era di una sezione semplice della Cassazione e non delle Sezioni Unite), ha riconosciuto la fondatezza delle censure nel merito.
Il nucleo dirimente della pronuncia risiede nell’affermazione che, in assenza di una previsione normativa esplicita sulle conseguenze della violazione, l’interpretazione che ne fa discendere la perdita totale per l’intero anno solare introduce una misura ablativa sproporzionata.
La Corte ha indicato come criterio di delimitazione temporale degli effetti dell’incumulabilità la dimensione mensile, che corrisponde al rateo di riferimento con cui la pensione viene erogata. Di conseguenza, la sospensione del trattamento pensionistico dovrebbe operare esclusivamente in riferimento alle mensilità nelle quali si è verificato l’effettivo cumulo tra redditi da lavoro e pensione «Quota 100».
Tale pronuncia segna un punto fermo nell’applicazione dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza nell’ambito del diritto previdenziale, fornendo al giudice di merito il criterio interpretativo per superare la rigidità dell’orientamento giurisprudenziale criticato.