In una Parigi blindata e colpita dagli attentati del 13 novembre, parte la sfida mondiale per salvare il pianeta.
15.500 i poliziotti schierati in tutta la Regione, quasi 3.000 in prima linea nel quartiere generale di Le Bourget dove sono attesi stamani 147 tra Capi di stato e di Governo per la cerimonia inaugurale della Cop21, eppure la gran mole di forze dell’ordine in campo non ha scoraggiato ieri le proteste degli ambientalisti, con scontri, disordini e fermi in Place de la Republique e il timore diffuso di una replica oggi, quando all’ombra della torre Eiffel saranno riuniti i potenti del mondo in piena emergenza terrorismo.
A 20 anni dal primo meeting Cop, nel 1995 a Berlino, l’obiettivo da centrare è sempre lo stesso: il cambiamento climatico e il surriscaldamento del pianeta limitando a 2° l’aumento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale.
La sfida non é da poco considerando che i piani nazionali con cui arrivano al tavolo di Le Bourget i 190 Paesi attesi a Parigi infrangono la zona rossa, portando pericolosamente la colonnina di mercurio a +2,7 e nonostante i buoni propositi occorre dunque uno sforzo supplementare, diplomazie al lavoro, dunque, per non ripetere la dèbacle di Copenaghen del 2009, quando il summit Onu si concluse con un nulla di fatto.
A Parigi si punta a raggiungere un’intesa che nel 2020 possa raccogliere il testimone dell’accordo di Kyoto (2005) con impegni ancor più ambiziosi, ma le contraddizioni sono tante e lo scontro Nord-Sud sempre attuale, con i Paesi emergenti pronti a rivendicare una sorta di diritto ad inquinare perché in ritardo di due secoli sulla tabella di marcia dell’industrializzazione. Sul piatto della bilancia pesano anche i pochi aiuti dei paesi ricchi per finanziare la conversione alle energie rinnovabili dei poveri: 100 miliardi di dollari promessi nel 2009, di cui 38 mancano ancora all’appello.
Gli scettici sono pronti a scommettere che i leader del mondo si siano dati appuntamento oggi, anziché allo scadere dei 12 giorni della Cop, per evitare di esporsi in un summit che potrebbe rivelarsi meno promettente del previsto.
Sul fronte degli ottimisti, più di un fattore sembrerebbe agevolare l’inversione di marcia necessaria per frenare il surriscaldamento del pianeta, innanzitutto la Cina, ormai tra le più grandi generatrici di CO2 al mondo: lo scorso anno ha annunciato un piano ambizioso per abbattere progressivamente la crescita di emissioni entro il 2030. Al tavolo dei negoziatori oltre al dragone asiatico di Xi Jinping c’è Barack Obama, il presidente più green che gli States ricordino, deciso a portare a termine il suo mandato alla Casa Bianca con un successo da lasciare ai posteri su uno dei temi che gli sta più a cuore.
Infine l’Europa, che si presenta all’appuntamento della Cop21 con lo scandalo Volkswagen un’onta da cancellare agevolando il raggiungimento di un’intesa il più favorevole possibile. Sullo sfondo il contributo di Papa Francesco, che con la sua enciclica ‘Laudato sì e le raccomandazioni da Nairobi affinché a Parigi si raggiungano risultati concreti, ha avviato una vera e propria moral suasion che potrebbe trovare terreno fertile negli ambienti cattolici, vincendo le resistenze dei negazionisti del clima (la destra americana), impermeabili agli allarmi degli studiosi ma sensibili ai richiami etici e religiosi. A Le Bourget tra poche ore parte il countdown: 12 giorni, 288 ore per quella che alcuni studiosi reputano l’ultima fermata per salvare il pianeta