Il Piano Casa nazionale, varato nel 2009, in quasi dieci anni di applicazione ha dato luogo a una vasta produzione normativa a livello regionale, sollevando anche questioni di legittimità costituzionale e contenziosi tra Comuni e Regioni. In particolare, il tema delle competenze nella materia della governance territoriale ha caratterizzato il dibattito sulle normative dei diversi piani casa regionali.Normative articolate su tre livelli, come ha ricordato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 121 del 26 marzo 2010.
Il primo livello è quello statale, con l’approvazione di un piano nazionale per il rilancio dell’edilizia abitativa, che ha disciplinato facilitazioni, semplificazioni e incentivi agli interventi edilizi, fissando principi, condizioni e parametri che dovrebbero garantire l’uniformità dei criteri di applicazione su tutto il territorio nazionale.
Il secondo livello riguarda la programmazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia del governo del territorio, alla quale concorrono le Regioni. Da notare che i Piani Casa regionali, norme all’origine e formalmente di carattere straordinario e transitorio, tendono in alcuni casi a diventare strutturali per effetto di successive proroghe e integrazioni nella normativa ragionale, creando un parallelismo imperfetto con la normativa statale, richiamata come riferimento generale e limite all’applicazione degli interventi previsti nei piani stessi.
Il terzo livello concerne il principio di sussidiarietà (art. 118, comma 1, Cost.), secondo il quale ai Comuni devono essere assicurate tutte le funzioni di pianificazione e di vigilanza che non necessitino di esercizio sovracomunale. La legislazione regionale dovrebbe individuare gli interessi da amministrare nei piani regionali e provinciali, in quanto essenziali per le rispettive comunità, riconoscendo i Comuni come “principali titolari dei poteri pianificatori in materia urbanistica nonché dei poteri gestionali” (Corte Costituz., n. 196/2004). È invece avvenuto il contrario – sottolineano gli esperti del settore: una drastica sottrazione di poteri ai Comuni, con la deroga agli strumenti urbanistici, mitigata con la concessione di ridotti tempi e modalità di intervento sull’applicazione delle disposizioni regionali. A questo punto c’è da chiedersi: come e in che misura i Piani Casa regionali impattano sulle competenze comunali di gestione del territorio, una funzione fondamentale dell’autonomia dei Comuni? In primo luogo bisogna ricordare che, in base all’art. 117, 2 c., lett. p, Costituzione, quest’ultima è oggetto di legislazione esclusiva dello Stato e non può quindi essere eccessivamente compressa da parte della legislazione regionale, la quale non può in alcun caso rendere inoperanti i piani urbanistici comunali, privandoli di adeguati ed effettivi spazi di manovra, bensì deve limitarsi a prevedere la sottrazione di alcune competenze in considerazione di “concorrenti interessi generali, collegati a una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio” (Corte costituzionale n. 378/2000).
A tal proposito, occorre ricordare che “il potere dei Comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e all’utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le Regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica, siano libere di compiere. Si tratta invece di un potere che ha il suo diretto fondamento nell’art. 128 della Costituzione, che garantisce, con previsione di principio, l’autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei rapporti con le stesse Regioni, la cui competenza nelle diverse materie elencate nell’art. 117, e segnatamente nella materia urbanistica, non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia dei Comuni” (Corte Costituzionale n. 83/1997).
Di conseguenza, le norme regionali non dovrebbero consentire l’autorizzazione di trasformazioni (rilevanti come nella materia urbanistico-edilizia) che non siano il frutto di una preventiva, adeguata e specifica ponderazione degli effetti sul territorio e sulla collettività insediata, attraverso un procedimento ispirato a rigidi criteri di pubblicità e imputato a organi che siano espressione diretta della collettività interessata. La seconda domanda da porsi è: i Piani Casa regionali possiedono tali requisiti? Pur con l’indicazione dei casi di esclusione (centri storici, aree naturali protette o tutelate come beni culturali o a rischio idrogeologico e sismico, zone costiere, difformità del titolo edilizio, abusivismo ecc.) – rispondono gli esperti della materia, come Giorgio Tacconi, autore di un dettagliato articolo in tema – le norme in questione si pongono come direttamente esecutive e ammettono da parte dei Comuni la mera funzione di controllo e vigilanza, concedendo solo brevi termini per deliberare nel merito del campo di applicazione. Di qui i diversi contenziosi succedutisi nel tempo.