L’infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema degli enti locali è una piaga particolarmente perniciosa che la legge tenta di combattere con norme ad hoc dando luogo a un iter procedurale complesso. Fare il punto su tutte le fasi di questo procedimento che culmina con lo scioglimento dell’ente contaminato ci sembra operazione utile, in considerazione dei ripetuti interventi normativi che lo hanno progressivamente novellato.
Lo scioglimento di un consiglio comunale è disciplinato dall’articolo 143 del Tuel, modificato dal pacchetto sicurezza del 2009, ed è previsto quando “emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori”. Un Comune si può sciogliere per infiltrazioni mafiose quando sussistono in capo agli amministratori “forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”.
Anche se l’ultimo atto per far decadere un Comune per mafia è il decreto del capo dello Stato, il procedimento parte dalla prefettura competente per territorio. Tocca al prefetto infatti nominare una commissione d’indagine, composta da tre funzionari dell’amministrazione pubblica, che ha il compito di accedere agli atti del Comune per accertare se ci siano gli estremi per la richiesta di scioglimento dell’amministrazione. Al termine delle verifiche, la commissione fornisce le proprie conclusioni. La commissione svolge la propria attività per tre mesi prorogabili per altri tre.
Entro 45 giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d’indagine, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’interno una relazione nella quale si dà conto dell’eventuale sussistenza degli elementi che possano portare allo scioglimento del Comune per mafia. Nella relazione, il prefetto potrà allegare gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica.
A questo punto, l’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica che, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione al Ministro dell’interno, potrà decretare lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Prima però è necessaria la delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno. Il decreto presidenziale viene immediatamente trasmesso alle Camere e, con allegata la relazione del ministro e del prefetto, viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Quali gli effetti dello scioglimento? Decadono, oltre ai consiglieri, anche il Sindaco e gli assessori. Si concludono pure gli incarichi di revisore dei conti e i rapporti di consulenza che non siano rinnovati dalla commissione straordinaria nominata per la gestione del Comune. Lo scioglimento dura da dodici a diciotto mesi, con la possibilità di proroga fino a ventiquattro.
Nel decreto presidenziale di scioglimento, viene anche nominata la commissione straordinaria per la gestione provvisoria del Comune sciolto. La commissione è composta da tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza. La commissione rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. Inoltre, presso il Ministero dell’interno viene istituito un comitato di sostegno e di monitoraggio dell’azione delle commissioni straordinarie.
Dall’agosto 1991 al 25 ottobre 2018, sono stati 318 i decreti di scioglimento di Comuni per infiltrazioni mafiose. Di questi, 24 sono stati annullati dai giudici amministrativi. Nel 2017 sono stati 21, e nei primi 10 mesi del 2018 si contano 22 amministrazioni locali commissariate per ingerenze della criminalità organizzata. Con oltre un centinaio di casi ciascuno, Calabria e Campania sono le regioni dove più volte sono decaduti i Consigli comunali. Segue la Sicilia con oltre 70. Alcuni provvedimenti di scioglimento dei Comuni per mafia hanno toccato anche regioni del Nord, come il Piemonte, la Liguria, la Lombardia e l’Emilia Romagna.