La storia spesso ci riporta immagini che ci permettono di ricostruire una vicenda. Mi è capitato di rivedere su Sky una foto di Muhammad Ali e dei Beatles. Era il 18 febbraio del 1964 e la band era in città per registrare la sua seconda apparizione all’Ed Sullivan Show. Un evento mondiale che aveva lanciato il gruppo in vetta alle classifiche di tutto il mondo. Un successo inaspettato, tanto che la band, al suo esordio, si era posta come unico traguardo quello di diventare il gruppo più famoso di Liverpool e non quello di conquistare il mondo.
Liverpool, in verità, era stata più che altro un ostacolo. Proprio quella loro residenza gli aveva fatto perdere il primo contratto con la Decca. Anche perché, come dice il proverbio “ Se vivi a Londra, di tutto quello che succede a nord di Watford non sai nulla”. E la Decca prese sul serio queste parole preferendo a loro un cantante londinese. Dovettero quindi lavorare sodo per poter esportare la loro musica, prima a Londra, e poi negli States.
Ma la classe che le loro canzoni emanavano li portò presto a conquistare la ribalta britannica e poi quella mondiale. In breve tempo si parlò di Beatlesmania.
Erano i primi inglesi in grado di esportare il proprio successo negli USA. E non sbarcarono certo in silenzio. Il gruppo, subito dopo l’arrivo, si presentò agli studi dell’Ed Sullivan Show, registrando cinque canzoni e permettendo al programma di stracciare ogni record di ascolto.
Nei soli 15 minuti a loro disposizione più di 73 milioni di telespettatori americani guardò la trasmissione. Si disse che per evitare la confusione, il Premier britannico Alec Douglas-Home, che doveva arrivare a Washington, D.C. lo stesso giorno dei Beatles, rinviò il viaggio di un giorno.
Insomma, questi 4 ragazzotti di Liverpool riuscirono in poco più di due settimane a conquistare l’occidente. I Beatles furono così i primi artisti a far parte di quel movimento noto come «British
Invasion», aprendo le porte ai loro colleghi britannici come i Rolling Stones, i Kinks, gli Animals, gli Who, che a loro volta prenderanno d’assalto l’immenso mercato americano. E fecero anche molto di più.
L’11 Settembre 1964, a Jacksonville in Florida, la band si rese conto che il pubblico sarebbe stato suddiviso su base razziale. Considerandolo inaccettabile, si rifiutarono di eseguire il concerto fino a quando non ricevettero l’assicurazione, da parte del promotore, che il pubblico sarebbe stato trattato tutto in egual modo.
Paul McCartney racconta: “guardando la scena politica e venendo da Liverpool, suonavamo con band nere e c’erano neri nel pubblico. Quando andammo a Jacksonville e sentimmo che bianchi e neri sarebbero stati separati, dicemmo: “non è possibile!”», e aggiunge «li forzammo ad integrarsi. Mettendolo nel contratto. Ero davvero orgoglioso!».
E fece bene ad esserlo; avevano contribuito a trasmettere nella percezioni degli americani l’importanza delle lotte per i diritti degli afroamericani.
E se oggi, a più di 50 anni dalla data di quel concerto, nel Gator Bowl Stadium tutti si possono sedere dove desiderano, un po’ lo si deve anche a loro.