Il Comune di Roma ha debiti per 1,5 miliardi con i fornitori: tre volte superiore al debito di Napoli e quasi cinque volte tanto quello di Milano. È, dunque, gigantesca l’esposizione del Comune capitolino nei confronti dei privati. Nella classifica poco lusinghiera delle città che faticano a saldare i conti con aziende ed artigiani, la Capitale è purtroppo al primo posto.
Al 31 dicembre 2018 i principali Comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti verso i propri fornitori. Questi i dati della Cgia di Mestre secondo la quale si tratta di “una somma importante” che, comunque, risulta essere sottodimensionata, visto che nell’elaborazione non sono incluse molte Amministrazioni comunali che, ad oggi, non hanno ancora pubblicato/aggiornato sul proprio sito il numero dei creditori e l’ammontare complessivo dei debiti maturati alla fine del 2018 per le seguenti voci di spesa: somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali. Somme, pertanto, che rispetto alla dimensione registrata alla fine del 2018 potrebbero, allo stato attuale, essersi notevolmente ridotte, anche se i dati riportati successivamente dai singoli Comuni non hanno consentito di provare questo assunto.
“Sebbene negli ultimi anni i vincoli imposti dal patto di stabilità interno siano stati superati – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – molti Comuni continuano a liquidare i propri fornitori con tempi abbondantemente superiori a quelli stabiliti per legge. In particolar modo al Sud. Nelle grandi Città
Metropolitane, inoltre, dove le spese sono sensibilmente superiori a quelle sostenute dalle Amministrazioni di medie e piccole dimensioni, lo stock degli insoluti rimane ancora elevato e in molti casi addirittura in aumento rispetto agli anni precedenti. Come nei casi di Roma, Milano, Torino, Cagliari e Venezia”
Sebbene il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) sostenga che i tempi di pagamento di tutte le Pubbliche amministrazioni (Pa) stiano diminuendo, i tecnici di via Venti Settembre sono giunti a questa conclusione dopo aver elaborato dati ancora molto parziali, visto che hanno monitorato “solo” 20,3 milioni di fatture su un totale di 28 milioni emesse nel 2018 (ovvero, il 72,5 per cento del totale).
Secondo il MEF, pertanto, l’ammontare complessivo del debito residuo non pagato al 31 dicembre 2018 ammonterebbe a 26,9 miliardi di euro. Dato che si riferisce alle sole fatture emesse nel 2018 e con i limiti appena descritti. “Grazie all’introduzione della fatturazione elettronica – afferma il segretario Renato Mason – le cose sono migliorate. Dalla fine del mese di marzo del 2015, infatti, tutti i fornitori della Pa hanno l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico. Una disposizione che ha reso più trasparente il rapporto commerciale tra il pubblico e il privato, anche se il debito complessivo rimane ancora da definire e i ritardi nei pagamenti spesso sono ancora del tutto ingiustificati”.
Dai dati ricavati dalla lettura dei siti internet, il Comune di Roma è quello più indebitato: al 31 dicembre 2018 i fornitori dell’amministrazione capitolina (pari a 4.966 imprese) avanzavano 1,5 miliardi di euro. Nella graduatoria dei “peggiori” pagatori scorgiamo anche il Comune di Napoli con 432,2 milioni di mancati pagamenti (599 imprese creditrici), il Comune di Milano con 338,2 milioni di euro (2.124 imprese creditrici), l’Amministrazione comunale di Torino con 299,1 milioni (1.161 aziende creditrici) e il Comune di Palermo con 137 milioni (909 imprese in attesa di essere liquidate).
Da segnalare, invece, la straordinaria performance dei Comuni di Brescia, Ferrara e Trapani: al 31-12-2018, tutte queste Amministrazioni hanno dichiarato di non avere alcun debito nei confronti dei propri fornitori.
A ricordarci che la situazione rimane comunque ancora molto critica è la Commissione europea che, pur avendo riconosciuto gli sforzi compiuti dal Governo italiano, ha avviato una procedura di infrazione con lettera di costituzione in mora nel giugno 2014 e il successivo invio del parere motivato nel febbraio 2017.
Nonostante questi richiami, le Amministrazioni pubbliche italiane necessitavano in media 100 giorni per saldare le loro fatture. A fronte di questa situazione, la Commissione nel dicembre del 2017 ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’UE, ribadendo il sistematico ritardo con cui le amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali, in violazione delle norme dell’UE in materia di pagamenti.
Secondo gli ultimi dati relativi alla periodica indagine condotta da Intrum Justitia, nel 2018 la nostra PA è stata la peggiore pagatrice in Ue, in quanto ha liquidato i propri fornitori mediamente dopo 104 giorni: più del doppio della media europea che, invece, paga mediamente dopo 41 giorni. La CGIA, infine, sottolinea che la cattiva abitudine a pagare in ritardo i propri fornitori non riguarda solo la PA, ma anche i committenti nei rapporti commerciali tra le imprese private. Sempre secondo l’indagine condotta a livello europeo da Intrum Justitia, nel 2018 le imprese italiane hanno saldato i propri subfornitori mediamente dopo 56 giorni (peggior risultato a livello europeo dopo il Portogallo), anche se questo lasso di tempo è comunque al di sotto dei canonici 60/90 gironi. Nulla comunque a che vedere con i tempi registrati in Francia (42 giorni), nel Regno Unito (27 giorni) e in Germania (24 giorni). La media Ue, invece, è di 34 giorni: 22 giorni in meno che da noi.