L’Anac è il mister “Wolf” che risolve tutti i problemi della pulp fiction della vita pubblica italiana? Se lo chiede con una suggestiva metafora Giulio Napolitano – professore ordinario di diritto amministrativo all’Università di Roma Tre – in un articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera. Il tema è attuale e cruciale in un Paese, come il nostro, malato cronico di corruzione.
La questione origina dalla decisione del legislatore di affidare nel 2014 a “Raffaele Cantone il compito di assorbire la vecchia Autorità dei lavori e dei contratti pubblici, paralizzata da conflitti interni e scandali, nella neo-istituita Autorità Nazionale Anticorruzione”. Di conseguenza – segnala con una certa apprensione Napolitano – l’Anac si trasforma in breve in una sorta di “jolly istituzionale” esercitando una varietà di compiti che rischiano d’impattare il sistema amministrativo e quello economico. La domanda che si pone l’autore è semplice e appropriata: questi sistemi “possono sostenere questo stato di allarme permanente, in cui ogni controllo pubblico è esercitato nel sacro nome della lotta alla corruzione da un’autorità che si presenta come portatrice di una moralità superiore?”. Il climax della problematica è stato raggiunto – spiega Napolitano – l’anno scorso quando il legislatore, con l’adozione del nuovo codice dei contratti pubblici, ha assegnato all’Anac il potere di adottare la normativa secondaria in materia di appalti e “conferendole una congerie di funzioni di regolazione, vigilanza e giudizio, da esercitare con poteri anche atipici, non sempre accompagnati da adeguate garanzie procedimentali”. Di qui la severa valutazione espressa dallo stesso Napolitano sull’intero processo: “Si tratta di una scelta originale del legislatore italiano, che non trova pari negli ordinamenti degli altri Paesi europei, pure chiamati a recepire le medesime norme. E che conduce a un’evidente distorsione del peso degli interessi pubblici in gioco”. Per non parlare della «raccomandazione vincolante» che l’Anc avrebbe potuto rivolgere alle stazioni appaltanti (fortunatamente mai applicata) al fine di annullare in via di autotutela gli atti di gara sospettati di illegittimità, poi censurata dal Consiglio di Stato e quindi abrogata.
Quale, allora, la ricetta in grado di superare e sanare le criticità di un sistema così configurato, riequilibrando poteri e funzioni delle autorità di vigilanza e controllo e migliorando l’efficacia della lotta alla corruzione? Il professor Napolitano propone una soluzione lineare e razionale che merita di essere presa in seria considerazione dal legislatore, non sempre lucido e adeguato nel legiferare su queste delicate materie: “L’Anac ha ragione a rivendicare il suo rafforzamento sul piano organizzativo e funzionale e l’equiparazione con le altre autorità indipendenti. Ma accanto a essa deve rinascere una distinta — e meno messianica — Autorità per i contratti pubblici. A tale scopo non serve dare vita a un nuovo apparato. Basta creare una testa diversa, con un secondo collegio composto anche di esperti di mercati e di contratti, e ricalibrare poteri e procedure, in modo da assicurare la virtuosa convivenza tra la cultura della legalità e quella dell’efficienza”.