Caos urbanistico in Sicilia? A leggere alcuni dati inquietanti parrebbe di sì. In effetti, il 92% dei 390 Comuni dell’Isola non dispone di un piano regolatore vero e proprio. In alcuni casi lo strumento di pianificazione è scaduto, in altri non è stato approvato o manca del tutto. Non è raro imbattersi anche nei programmi di fabbricazione, strumenti urbanistici risalenti addirittura agli anni ’70. Spesso le inadempienze delle amministrazioni locali sono dovute alla carenza di risorse disponibili. Un Comune siciliano di 15mila abitanti, ad esempio, per dotarsi di un Prg deve spendere in media 200mila euro. Se poi è di ampiezza demografia superiore, si arriva anche a 400mila euro. Lo conferma Giovanni Salerno – direttore generale regionale del Dipartimento Territorio:
“Nella legge di stabilità regionale era stata inserita, non a caso, la cifra di 10 milioni di euro vincolati ai Prg, ma poiché facevano parte dei fondi di Sviluppo e coesione la “mannaia” dell’impugnativa romana ha annullato, almeno per il momento, ogni possibilità di utilizzo. In fase di riprogrammazione di queste risorse l’intervento nel tempo potrebbe essere praticabile”.
Di fatto, la Sicilia è una delle poche Regioni a non essersi dotata di un Piano territoriale regionale, lo strumento integrato per definire obiettivi di “sviluppo e coesione del sistema territoriale regionale”. La Regione sta cercando di porvi rimedio lavorando alla redazione, per la prima volta, di un dispositivo di cui in passato non c’è traccia: le linee-guida del provvedimento. Così si potrà rivedere la legge di settore che in Sicilia è vigente dal 1978. A quarant’anni di distanza una riforma urbanistica regionale diventa necessaria. L’adeguamento dei Prg nei territori, inoltre, è una condizione necessaria per l’utilizzo delle risorse europee che spesso invece non vengono spese.
A fronte della carenza di risorse, è cruciale la ridefinizione dei rapporti tra Regione e Comuni soprattutto in materia di semplificazione delle procedure. Non è un caso che l’iter di base per l’approvazione di un Piano regolatore, se va bene, richiede 5 o 6 anni. Semplificazione, dunque, ma anche responsabilizzazione dei Comuni in materia urbanistica. «Il ragionamento va esteso e non riguarda solo i piani regolatori – chiarisce a proposito Mario Alvano, segretario regionale di Anci Sicilia – a tutti gli strumenti di programmazione relativi alla gestione del territorio, ma anche a quella economica-finanziaria dell’ente. Tra questi metterei anche quelli di Protezione civile, e anche quelli per smaltire l’amianto La conoscenza del proprio territorio non può essere un optional, ma è il dato da cui partire per ogni tipo di ragionamento. Mi chiedo infatti – prosegue – se non sia arrivato il momento di fare spazio ai piani territoriali. Non sempre una separazione netta tra un Comune e un altro ha senso. Fino a che punto serve l’utilizzo di due strumenti di pianificazione differenti per due territori molto simili? Forse concentrare le risorse con uno strumento regolatore più ampio per un’unica area che ha caratteristiche comuni, potrebbe essere un fatto di buon senso. I dati stessi dicono – conclude Alvano – che rincorrere esiti per ogni Comune diventa quasi proibitivo”.