La regia politica del tavolo è stata affidata alla presidente della Commissione Ambiente della Camera, Federica Daga, portavoce di una proposta di legge di riforma del settore idrico. “La riorganizzazione del sistema che sovrintende alla gestione delle risorse idriche in Italia non è più rinviabile. Ce lo chiedono i cittadini che hanno votato per l’acqua pubblica al referendum del 2011 e ce lo impongono le criticità dell’attuale modello emerse dalla lunga fase di audizioni in commissione Ambiente della Camera sulla nostra proposta di legge” ha detto Federica Daga, prima firmataria della proposta di legge per la gestione pubblica e partecipata del ciclo integrale delle acque in discussione alla Camera. I parlamentari hanno tempo fino a domani (8 febbraio) per presentare emendamenti, prima della trasmissione al Comitato per la legislazione.
Le Regioni esprimono tuttavia la loro contrarietà all’attuale formulazione della proposta di legge. “Come abbiamo detto il 10 gennaio in audizione alla Camera e come è scritto a chiare lettere nel documento approvato all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni, esistono almeno tre ragioni per rivedere l’impianto della proposta, a meno che non si voglia dare luogo ad un lungo ed estenuante contenzioso Stato-Regioni”, a dirlo è Donatella Spano, assessore della Regione Sardegna e coordinatrice della Commissione Ambiente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Il primo motivo è che la proposta non disciplina il necessario coordinamento tra le novità introdotte e la normativa vigente. “Va chiarito esplicitamente – ha sottolineato Donatella Spano – quali articoli delle leggi vigenti s’intendono modificare o sostituire e per quali motivi. Il rischio è di trovarsi di fronte a una disciplina di settore tutta da interpretare e sconnessa. La seconda ragione – ha proseguito coordinatrice della commissione Ambiente della Conferenza delle Regioni – sta nell’esigenza di dipanare diversi dubbi di legittimità costituzionale. La gestione del demanio idrico è una competenza delle Regioni per cui prevedere che il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque sia disposto dall’Autorità di distretto non solo appare in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. 112/1998, ma renderebbe assai problematico il sistema del rilascio delle concessioni di derivazione. Considerare poi il servizio idrico integrato come ‘servizio pubblico locale di interesse generale non destinato ad essere collocato sul mercato in regime di concorrenza’ contrasta con quanto stabilito della Corte Costituzionale secondo cui siamo di fronte invece ad un ‘servizio pubblico locale di rilevanza economica. La terza ed ultima ragione – ha concluso Spano – riguarda la proposta modifica di pianificazione e regolazione del servizio idrico integrato riportandoci indietro nel tempo, a prima della Legge Galli. Vale la pena ricordare – ha sottolineato – che proprio in attuazione di quella legge tutte le Regioni hanno disciplinato la materia istituendo le Autorità d’ambito territoriale ottimale, i vecchi Ato, adesso Enti di governo d’Ambito (EgAto), le quali hanno provveduto ad affidare la gestione e l’erogazione dei Servizi di Acquedotto, Fognatura e Depurazione ad Aziende (peraltro prevalentemente pubbliche) dotate di adeguata capacità tecnico-organizzativa e gestionale. La suddetta organizzazione territoriale e di governance, attuata da oltre vent’anni in tutta Italia, si è rivelata uno degli elementi essenziali delle politiche per la tutela delle risorse idriche su tutto il territorio nazionale, che ha consentito di superando la frammentazione dei sistemi idrici ed ha portato ad un progressivo aumento dei volumi di investimento e dello sviluppo infrastrutturale”. Il dibattito è quindi aperto ed il 13 febbraio le Regioni indicheranno i propri rappresentanti che dovranno sedersi al tavolo tecnico-politico.
Intanto in questi mesi il lavoro del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, in sinergia con il Mef e le altre amministrazioni dello Stato competenti in materia di risorse idriche (Ambiente e Agricoltura), ha portato a sbloccare il Piano straordinario invasi da 250 milioni di euro e ad approvare il Dpcm sul Fondo di garanzia per le opere idriche. Nella legge di Bilancio 2019, inoltre, è stato finanziato con un miliardo di euro il Piano nazionale invasi ed è stata prevista per il settore idrico un’ulteriore forma di finanziamento a regime a valere sul Fondo infrastrutture (200 milioni appena ripartiti al settore e 147 di prossima ripartizione).
Nel corso della riunione del 5 febbraio, il Mit ha dato la propria disponibilità a individuare al più presto gli interventi da finanziare a valere sui 200 milioni di euro del Fondo infrastrutture 2018, comprese le otto opere già dotate di progettazione definitiva che non sono state finanziate nel Piano straordinario invasi, nonché a utilizzare parte dei fondi del Piano nazionale per promuovere l’avanzamento degli interventi più meritevoli sulla base di oggettivi criteri di valutazione.