Inclusione in SIN obbliga alla bonifica e va motivata
Il Consiglio di Stato interviene sulla delicata materia dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) e sulla necessità di motivare l’inclusione di un terreno in queste aree. Con la sentenza n. 6417 del 21 luglio 2025 (sezione IV, Pres. Carbone, Est. Gambato Spisani), i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito la natura e i vincoli derivanti da tale classificazione, pur sottolineando la necessità di un’adeguata istruttoria da parte dell’Amministrazione.
Equivalente normativo e vincolo ambientale
Il punto centrale della decisione è l’affermazione che l’inclusione di un terreno in un SIN non è una mera formalità, ma assorbe e costituisce l’equivalente normativo del presupposto che obbliga ad attivare le procedure di bonifica, ai sensi dell’art. 242 del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale).
In pratica, l’individuazione di un’area come SIN (ai sensi dell’art. 252 del D.Lgs. 152/2006), basata sulla pericolosità degli inquinanti e sull’impatto sanitario-ecologico, presume il “verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito”.
Questa inclusione, pertanto, si configura come un vero e proprio vincolo ambientale, di cui si deve tenere conto in fase di rilascio del permesso di costruire, limitando l’attività edificatoria sull’area.
Necessaria la motivazione preventiva
Il Consiglio di Stato ha però messo un paletto fondamentale all’azione amministrativa: l’inclusione di un terreno in un SIN non può essere arbitraria.
È imprescindibile che l’Amministrazione (il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) individui indizi di sufficiente gravità che facciano ritenere, in modo logico, che il terreno sia stato apprezzabilmente interessato dall’evento contaminante che ha portato all’istituzione del sito. L’iter logico seguito deve essere esplicitato nella motivazione del provvedimento di inclusione.
Nel caso specifico, i giudici hanno riformato la sentenza del TAR e hanno accolto il ricorso dell’interessato, ritenendo non adeguatamente motivato il decreto ministeriale impugnato. L’Amministrazione, infatti, si era basata su “analisi dirette di dettaglio ai fini della caratterizzazione del sito” condotte dopo l’inclusione. Il Consiglio di Stato ha chiarito che queste analisi fanno parte di una fase successiva della bonifica, da espletarsi solo quando si è già accertata la potenziale contaminazione. La motivazione per l’inclusione deve, dunque, basarsi su elementi probatori preesistenti.
La sentenza stabilisce, in sintesi, che l’inclusione in un SIN è un vincolo forte e rilevante in materia edilizia, ma deve essere supportata da una motivazione robusta che colleghi il singolo terreno all’evento contaminante giustificativo del sito.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it