I giudici della terza sezione del Tribunale amministrativo del Lazio, nella sentenza 14132/2025, hanno stabilito che i pareri resi dall’Autorità di regolazione dei trasporti ai sensi dell’art. 37, comma 2, lett. m), del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito (con modificazioni) dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di provvedimenti regionali e comunali riguardanti il servizio taxi, ancorché obbligatori non hanno natura vincolante. (1).
In motivazione, i giudici capitolini, hanno precisato che il parere espresso dall’ART esprime la valutazione dell’Autorità quanto all’applicazione, nel caso concreto, dei criteri generali previsti dalla legge, ma non potrebbe mai assumere ex se portata vincolante, in quanto in caso contrario si perverrebbe al riconoscimento in capo all’Autorità un vero e proprio ruolo di amministrazione attiva nella materia, in contrasto anche con i chiarimenti della giurisprudenza costituzionale secondo cui, in materia di tariffe, canoni e pedaggi la legge attribuisce all’Autorità il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta impregiudicata in capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi per i servizi erogati (sentenza n. 41/2013). Pertanto, allorquando intenda impugnare gli atti adottati dai Comuni e dalle Regioni ai sensi dell’art. 37, comma 2, lett. m), del d.l. n. 201/2011, l’Autorità è onerata di individuare gli specifici profili di violazione di legge e/o eccesso di potere da cui tali atti siano affetti, senza che possa ritenersi sufficiente il mero richiamo alla mancata conformazione a un parere reso ai sensi della norma richiamata.
Gli stessi giudici, hanno chiarito, inoltre, che l’art. 37, comma 2, lett. n), del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito (con modificazioni) dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, riferito alla legittimazione dell’Autorità di regolazione dei traposti di impugnare innanzi l tribunale amministrativo regionale per il Lazio gli atti adottati, ai sensi della precedente lett. m), dalle regioni e dai comuni, deve essere interpretato nel senso che in relazione ai provvedimenti impugnati l’Autorità può far valere anche il vizio di incompetenza. (2).
In motivazione, la sezione ha precisato che l’ambito delle funzioni riconosciute all’Autorità è definito in funzione (anche) delle attribuzioni dei soggetti pubblici chiamati a svolgere, nelle materie oggetto di intervento, funzioni di amministrazioni attiva. Pertanto, se non fosse consentito all’Autorità di far valere in giudizio il vizio di incompetenza ne risulterebbero pregiudicate le stesse attribuzioni dell’Autorità, nella misura in cui l’eventuale azione di soggetti privi di competenza si presterebbe all’aggiramento delle funzioni di regolazione e di vigilanza di cui essa è titolare. Inoltre, il vizio di incompetenza implica in ogni caso, e a prescindere dal merito dell’azione amministrativa, una radicale alterazione dell’esercizio della funzione pubblica, ivi inclusa quella di cui all’art. 37, comma 2, lett. m), d.l. n. 201/2011, sicché tale specifico vizio è senz’altro riconducibile all’ambito materiale indicato dalla norma.
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini
(2) Non risultano precedenti negli esatti termini
Fonte: Ufficio Massimario del Consiglio di Stato