L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), con una nota pubblicata sul proprio sito, rende noti i dati dell’Indagine sulla “Qualità del lavoro”, condotta su un campione di 15mila lavoratori rappresentativo di tutti i settori economici: in Italia il 56% dei lavoratori utilizza almeno uno degli strumenti tipici delle tecnologie avanzate, come macchinari e sistemi automatizzati, sistemi informatici di condivisione delle informazioni, il così detto cloud computing, Big data analytics, sistemi informatici di simulazione dei processi produttivi, la robotica collaborativa e le stampanti 3D associate all’additive manufacturing. L’indagine è stata pubblicata sul nuovo numero della rivista SINAPPSI dedicato allo “Sviluppo tecnologico, digitalizzazione, qualità del lavoro e relazioni industriali” presentato durante un convegno presso l’Auditorium dell’Istituto.
L’indagine individua quattro tipologie di lavoratori sulla base dell’utilizzo delle tecnologie digitali:
· gli ‘hard digital’ (24%) che impiegano tutte le tecnologie hardware diffuse nei sistemi produttivi italiani che negli ultimi anni hanno investito nel modello Industria 4.0;
· i ‘cloud digital’ (17%) che ricorrono massivamente a strumenti di cloud computing e interagiscono con macchinari e sistemi automatizzati;
· i ‘soft digital’ (7%), occupati soprattutto in attività che richiedono il ricorso a Big data analytics e all’impiego del cloud computing;
· gli ‘integrati’ (7%), un segmento che sperimenta a 360 gradi l’impiego di tecnologie software associandolo ai classici dispositivi tecnologici di tipo hardware.
“L’analisi svolta – si legge nella nota INAPP – conferma una relazione diretta tra l’impiego delle tecnologie, la crescita delle competenze dei lavoratori ed il miglioramento delle condizioni di lavoro in particolare per i lavoratori soft digital e cloud digital. Circa il 40% di questi dichiara infatti “di aver migliorato la propria condizione economica, le prospettive di sviluppo e carriera e i livelli di autonomia sul lavoro”, a fronte di un dato medio, tra i lavoratori non digitali, che sui tre aspetti raggiunge solamente il 20%. All’opposto il 67% dei lavoratori ‘hard digital’,che utilizzano in maniera routinaria i dispositivi hardware, considera il proprio lavoro gravoso in termini di disagio e sforzo fisico, e circa i due terzi di questi lavoratori non ha migliorato, o ha addirittura peggiorato, la propria situazione rispetto ad autonomia, prospettiva di carriera e condizione economica”.
Nella rivista SINAPPSI sono pubblicati anche i risultati dell’indagine EU-OSHA OSH Pulse condotta dall’Agenzia della Commissione Europa sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro. I dati evidenziano, in linea con il dato italiano, un’ampia diffusione delle tecnologie di base tra i lavoratori (73%), ma anche l’emergere, seppur marginale, dell’impiego di dispositivi indossabili (11%), come smart watches, smart glasses, activity tracker .Le tecnologie digitali sono utilizzate dai datori di lavoro per supervisionare o monitorare le prestazioni (25,3%), per assegnare compiti, orari di lavoro o turni (29,9%) o per valutare le prestazioni dei lavoratori da parte dei clienti o pazienti (26,9%). L’indagine europea evidenzia l’aumento dei rischi psicosociali per i lavoratori: per il 52,3% determina un aumento dei ritmi di lavoro; per il 40% un incremento dei livelli di sorveglianza sul lavoro e per il 33% una riduzione dell’autonomia lavorativa.
“I risultati confermano, in generale, una relazione positiva tra gli investimenti in tecnologie digitali e le condizioni di lavoro se accompagnati da quelli sulle competenze dei lavoratori, ma evidenziano anche un aumento dei livelli di controllo delle prestazioni dei lavoratori con disagi di natura psicologica, sociale e salariale – ha dichiarato Natale Forlani, presidente dell’Inapp – Questi fenomeni devono essere attentamente monitorati anche per l’atteso sviluppo delle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Continueremo ad analizzare l’impatto di queste innovazioni, ma sin da ora si manifesta l’esigenza di aumentare i livelli d’investimento sulle competenze dei lavoratori adeguando le politiche attive e la capacità delle parti sociali di regolamentazione dell’impatto delle tecnologie sulle condizioni di lavoro per evitare profonde spaccature tra i lavoratori”.
Fonte: INAPP