È facile dire che Guareschi si rivolterebbe nella tomba ma la vicenda, ai suoi tempi, sarebbe stata seriamente improbabile: Brescello, il comune della bassa Reggiana famoso per le ambientazioni di don Camillo e Peppone, è stato sciolto dal Consiglio dei ministri per ‘infiltrazioni mafiose’. É il primo comune emiliano romagnolo a subire questa decisione, frutto della relazione stilata da una commissione nominata dal prefetto di Reggio Emilia che ha scandagliato gli ultimi 15 anni di storia del Municipio. Ora con lo scioglimento imminente del Comune arriverà il commissariamento. Il sindaco di centro sinistra Marcello Coffrini, nel frattempo si era già dimesso. Era finito nella bufera dopo aver definito il boss Francesco Grande Aracri, già condannato per mafia con sentenza definitiva nel 2008, «una persona molto composta ed educata».
Gli investigatori hanno scoperto che in Emilia la ‘ndrangheta è radicata dal 1983, quando Antonio Dragone, capo mafia calabrese della provincia di Crotone si trasferì in Emilia come sorvegliato speciale. Sono passati 32 anni, il tempo di allevare un’intera generazione e di trasferire dalla Calabria gli affari legati alla logistica e al cemento. E con loro, famiglie e relazioni che sono diventati parte integrante del panorama.
Un anno dopo l’inchiesta antimafia, il 30 gennaio 2016, la giunta di centro sinistra di Brescello si era dimessa sperando che in paese tornasse un po’ di serenità e si spegnessero i riflettori e i microfoni che in piazza insistono a chiedere conto ai brescellesi della presenza della ‘ndrangheta. Ma non hanno convinto i prefetti che hanno proposto a Palazzo Chigi lo scioglimento del comune per mafia.
Eppure, c’era stato un momento in cui sembrava si potesse tornare a respirare il clima anni 50 del piccolo Mondo di Giovannino Guareschi. Quando l’anno scorso, in un’indagine del Sole 24 Brescello appariva come uno dei paesi più felici dell’Emilia Romagna, il quarto per la precisione. Ora, Brescello, ha un nuovo primato.