L’accoglienza, come ospitalità, ha sempre avuto un elemento sacrale all’origine. “L’ospite è sacro”: in questo detto giace un’eredità arcaica che risale al sostrato indo-europeo base di gran parte della cultura mediterranea.
La declinazione cristiana dell’accoglienza diviene la carità; essa sostanzia, da un significato profondo all’accoglienza dello straniero: dare ricetto ai pellegrini è opera di misericordia corporale. A ben vedere ben 5 delle 7 opere di misericordia corporale riguardano l’accoglienza, direttamente o indirettamente: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini e visitare gli infermi.
Anche prima del Cristianesimo, la civiltà mediterranea pratica la consuetudine dell’assistenza all’ospite. Sin dagli inizi, arte medica e accoglienza si sono relazionate tra loro: entrambe radicate profondamente nel sacro, nella sfera religiosa, da sempre sono state adoperate come strumenti di integrazione e armonizzazione.
Con l’avvento del Cristianesimo, la città di Roma, divenuta una delle principali mete di pellegrinaggio, si trovò a sviluppare naturalmente un modello assistenziale, di accoglienza esteso indistintamente a tutti.
Più famosa tra le strutture di accoglienza, denominate a Roma scholae, sorte numerose intorno alla basilica di San Pietro, fu quella dei Sassoni, risalente intorno alla fine del VII secolo. La Schola Saxonum, “il ricovero dei Sassoni”, è la denominazione da cui deriva la parola ‘Sassia’. Il complesso (che comprendeva anche una chiesetta dedicata a Santa Maria), ridotto in rovina dagli incendi di Borgo e dal tremendo saccheggio a opera dei Saraceni nell’846, fu ripristinato da Leone IV (lo stesso delle mura protettive di Borgo) qualche anno dopo e operò fino alla seconda metà del secolo XI, quando, in seguito della conquista della Britannia da parte dei Normanni (battaglia di Hastings del 1066) si interruppero i pellegrinaggi dei Sassoni a Roma.
Dopo un periodo di decadenza, alla fine del XII secolo grazie all’intervento del Papa Innocenzo III, poté essere costruito un ospedale (1198), che fu affidato all’Ordine dei Confratelli Ospedalieri. L’Ospedale era la novità dell’epoca: luogo attrezzato per l’accoglienza di qualsivoglia pellegrino, usufruiva ad un tempo della professionalità dell’arte medica che iniziava a farsi strada, congiunta all’attenzione caritatevole per il malato. Inizia così il periodo florido per l’accoglienza dell’Ospedale del Santo Spirito, che assume il suo stemma grazie al cavaliere templare Guido di Montpellier. Lo stemma riassume la filosofia insita nella concezione stessa dell’Ospedale: la considerazione della malattia come una situazione della persona e non come una punizione divina; un trattamento basato su uno spirito di carità evangelica, che escludeva ogni fine di guadagno, esplicitato dalla doppia croce patriarcale con tutte le estremità bifide (come la croce di Malta), disegnata dallo stesso Guido di Montpellier e sormontata in seguito dalla colomba dello Spirito Santo.
Passato poi attraverso gli ingrandimenti eleganti e cospicui del Rinascimento, visse le vicende delle spoliazioni illuministe prima (1799 Repubblica romana), napoleoniche immediatamente dopo, per vedere infine la sua amministrazione passare definitivamente, all’indomani della Breccia di Porta Pia, alla novella burocrazia sabauda. Nel 1896 fu costituito il “Pio Istituto di Santo Spirito e Ospedali Riuniti di Roma”, ente che riuniva la maggior parte degli ospedali di Roma sotto un’unica amministrazione, diventando il più grande complesso sanitario europeo dell’epoca. Ma era finita l’epoca dell’accoglienza.
Il suo patrimonio storico, artistico, monumentale, urbano e rustico, accumulato nei secoli, fu infine trasferito al Comune di Roma (Rip. X , con D. 428 del 10/12/1981) che lo ha reso Complesso monumentale per provvedere alla sua tutela e valorizzazione.
Proprio alla luce di quanto presentato ora, mi preme ricordare quando, qualche tempo fa, su questa testata, avevo presentato un’iniziativa culturale dedicata a favorire l’incontro e il dialogo tra le popolazioni (http://ildomaniditalia.eu/article/roma-dinanzi-ai-problemi-dellimmigrazione-esiste-la-possibilit%C3%A0-che-cultura-e-tradizione).
In esso ricordavo che la diffusione del patrimonio comune mediterraneo, quale si viene evolvendo a Roma, ha costituito l’obiettivo primario dell’iniziativa culturale (ora in procinto di concludersi) “La cultura del Mediterraneo a Roma” patrocinata dall’Associazione “Collegio Universitario Internazionale di Roma” (CUIR) e dalla “Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo”, fornendo a svariate decine di studenti stranieri a Roma uno spunto irripetibile per approfondire elementi importanti di un così vasto patrimonio comune.
La testimonianza di accoglienza ultramillenaria rappresentata dalla storia del Complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia ha permesso così di piantare un seme in molti giovani cuori. Da parte mia, è stato un onore poter far conoscere le vicende dell’attuale Complesso monumentale all’interno dell’itinerario legato al tema dell’accoglienza.
L’onore è stato ampiamente ripagato dal vivo e partecipato interesse di molte giovani menti, meravigliate dalle eccellenze raggiunte nel nostro passato, del quale oggi sembra vada di moda dimenticarsi.
Parafrasando la chiusa dell’altro articolo, amo ripetere che lavorando a fondo su tale spunto, coltivando questo seme, l’albero della civiltà di nuovo potrà fiorire. Questa iniziativa costituisce una scommessa vera sul futuro.