“Vi è un legame inscindibile tra il ruolo della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a salvaguardare «il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati» e il ruolo di tutti i giudici nazionali, depositari del compito di garantire «una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione» (articolo 19 del trattato). In un sistema integrato di garanzie, riveste un ruolo essenziale la leale e costruttiva collaborazione tra le diverse giurisdizioni, chiamate – ciascuna per la propria parte – a salvaguardare i diritti fondamentali nella prospettiva di una tutela sistemica e non frazionata”. È quanto si legge nella motivazione della sentenza n. 254, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli sulle disposizioni del cosiddetto Jobs act riguardanti i licenziamenti collettivi intimati in violazione dei criteri di scelta. La Corte ha ritenuto, per un verso, insufficiente la motivazione del giudice sulla rilevanza e, per altro verso, incerta la richiesta di un intervento correttivo della Consulta. Nella fattispecie, la Corte d’appello di Napoli aveva promosso un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Ue e aveva contestualmente sollevato questioni di legittimità costituzionale. Il 4 giugno 2020, la Corte di Lussemburgo ha dichiarato il ricorso manifestamente irricevibile, non riscontrando alcun collegamento fra la disciplina nazionale in questione (criteri di scelta nell’ambito dei licenziamenti collettivi) e un atto di diritto dell’Unione, così come richiesto dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta di Nizza. Pertanto, non ha potuto esprimersi sull’asserita violazione della stessa Carta. La Corte costituzionale si è limitata a ribadire la consonanza con le indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea circa l’ambito di applicazione del diritto Ue. La decisione sull’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale ha precluso l’esame del merito.
Fonte: Corte costituzionale