I giudici della Corte di Giustizia europea hanno stabilito che la normativa nazionale (artt. 192, c. 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 e 4, c.1, del d.lgs. n. 175 del 2016) sull’in house c.d. frazionato o pluripartecipato, non contrasta con l’art. 12, par. 3 della direttiva n. 2014/24/UE
L’art. 12, par. 3, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che subordina la conclusione di un’operazione interna, denominata anche “contratto in house”, all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna.
L’art. 12, par. 3, della direttiva 2014/24, pertanto, deve essere interpretato, secondo i giudici europei, nel senso che non osta ad una normativa nazionale che impedisce ad un’amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e, di conseguenza, la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici.