Chi si ritenga danneggiato da un intervento edilizio può impugnare il permesso di costruire che lo abbia autorizzato, purchè il ricorso sia inoltrato entro 60 giorni e dimostrando il danno subito. Questi obblighi e condizioni sono stati ribaditi recentemente dal Consiglio di Stato con la sentenza 962/2020. Tale decisione è scaturita da un caso di specie esaminato dai giudici riguardante alcuni interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento volumetrico, autorizzati in base al Piano Casa regionale vigente nella zona. I vicini avevano impugnato davanti al Tar i permessi di costruire, rilasciati dal Comune, sostenendo che il nuovo fabbricato superava l’altezza massima e le distanze minime consentite dal DM 1444/1968.
Il Tar aveva respinto il ricorso, affermando che non era stato dimostrato il danno subìto dalla realizzazione dell’intervento. Non persuasi da tale decisione, i vicini erano quindi ricorsi in appello al Consiglio di Stato, lamentando una serie di irregolarità nei titoli abilitativi rilasciati. A loro avviso, il Comune non aveva verificato se l’urbanizzazione primaria esistente fosse adatta ad assorbire il maggior carico urbanistico. Il Consiglio di Stato, invece, ha confermato la posizione del Tar perché, oltre a non aver dimostrato il danno subìto, i vicini avevano presentato ricorso troppo tardi, quando ormai erano scaduti i termini per l’impugnazione del permesso di costruire. I giudici hanno spiegato, infatti, che gli interessati hanno a disposizione 60 giorni per l’impugnazione che decorrono dall’inizio lavori.
Secondo i vicini, diversamente, i termini per l’impugnazione decorrevano dal momento della “conoscenza piena e integrale” dei contenuti del permesso di costruire. Piena conoscenza che era avvenuta al momento dell’accesso agli atti.
Tesi bocciata dai giudici che hanno chiarito come, per piena conoscenza, non si debba intendere la conoscenza integrale dell’atto con cui è stato rilasciato il permesso, bensì nel momento in cui si sia consapevoli dell’esistenza del provvedimento e della sua potenziale lesività. Questa consapevolezza – recita la sentenza – si ha, appunto, dal momento in cui iniziano i lavori. I giudici hanno sottolineato che, data la vicinanza, i ricorrenti avrebbero sicuramente notato la presenza del cartello, con i dati del cantiere, e lo stato di avanzamento dei lavori.
Il CdS, inoltre ha infine concluso che non basta essere vicini al cantiere per dichiararsi danneggiati dall’intervento edilizio. I danni, infatti, vanno dimostrati adeguatamente. Sulla base di queste considerazioni, i giudici hanno quindi respinto il ricorso.