Rispondere in modo adeguato e giusto al cambiamento climatico è la sfida globale più urgente della nostra epoca. Infatti non abbiamo il lusso del tempo. Ne abbiamo pochissimo per stabilizzare l’innalzamento della temperatura media globale a un grado e mezzo, livello che eviterebbe impatti ingestibili e rischi di scatenare fenomeni climatici irreversibili, come l’estinzione completa di ecosistemi terrestri e marini vitali per le catene alimentari globali, come i coralli, o l’innalzamento inarrestabile dei mari dallo scioglimento dei ghiacciai polari.
In tale contesto se i comuni, in particolare i più piccoli, non verranno accompagnati nella loro transizione energetica, lo sforzo fatto finora attraverso il Patto dei sindaci per il clima rischia di essere vanificato dall’eccessiva burocrazia. È quindi necessario “agire adesso”, rafforzando anche il ruolo di coordinamento del Comitato europeo delle Regioni (CdR). Questi i temi principali del parere su cui sta lavorando Benedetta Brighenti, consigliere comunale di Castelnuovo Rangone (Modena), che a Bucarest ha presentato per la prima volta l’avanzamento del suo dossier davanti alla commissione Ambiente del CdR. Finanziare l’assistenza tecnica ai comuni firmatari, ridefinire il compito degli “ambasciatori” del Patto e dotare il CdR di un seggio all’interno del bureau dell’iniziativa internazionale: sono gli altri temi su cui punterà il testo.
“Siamo in un passaggio fondamentale per la vita del Patto dei sindaci, che dopo il 2020 rischia di avere i suoi firmatari dimezzati”, sottolinea Brighenti. Entro la fine del prossimo anno, infatti, saranno confermate le sottoscrizioni solamente dei comuni che avranno rendicontato i progressi fatti in termini di efficienza energetica e taglio delle emissioni. “Uno sforzo burocratico per il quale sono richieste competenze che non tutte le municipalità hanno”, continua Brighenti, che a fine mese sarà a Bruxelles per incontrare i soggetti europei maggiormente coinvolti sul tema. Il testo sarà votato dalla commissione Ambiente del CdR a settembre.
Accompagnare la transizione energetica delle regioni europee con una forte industria legata alle fonti fossili, dalle miniere di carbone alla produzione di acciaio, grazie a un fondo da 4,8 miliardi di euro finanziato attraverso la politica di coesione post 2020. A chiederlo è la commissione Ambiente del Comitato europeo delle Regioni, riunita in via eccezionale a Bucarest in occasione della 12/ma conferenza sul Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (Set Plan). La proposta è contenuta all’interno del parere sull’ attuazione dell’Accordo di Parigi a livello locale approvato e redatto dal polacco Witold Stepien, ex presidente ed oggi consigliere nella Regione di Lodz, dove si trova la più grande centrale termoelettrica a carbone d’Europa.
Nell’Ue sono 41 le regioni minerarie appartenenti a 12 Paesi fra cui, unica in Italia, la Sardegna. Si calcola che il settore fornisca lavoro direttamente o indirettamente a oltre 450mila persone. Il parere del Comitato chiede anche di porre fine “gradualmente” ai sussidi “diretti e indiretti per i carburanti fossili”, come l’esenzione fiscale per il cherosene usato dagli aerei. Il testo sarà votato in plenaria l’8 ottobre.