Secondo i dati Istat, circa 230.000 persone (il 20 per cento degli over 65) sono potenzialmente a rischio di perdere la propria autosufficienza. Su questa ipotesi d’insieme, il Veneto è tra le Regioni italiane più attrezzate per rete di strutture e servizi per anziani, con un’offerta di residenzialità di circa 31.000 posti letto, la metà dei quali gestiti da enti pubblici, finanziati da 24.200 impegnative di residenzialità, ovvero rette a contributo pubblico. Nel 2018 47.700 anziani hanno avuto accesso, per almeno un giorno, a un servizio assistenziale per non autosufficienti, ma oltre 12.000 sono rimasti in lista di attesa. Oggi più che mai, perciò, la Regione s’interroga sulla capacità di farsi carico degli anziani gravi e non più autosufficienti.
Una riflessione che ha dato luogo a tre tavoli tecnici convocati il 24 maggio presso l’Azienda Zero, dall’assessore alla Sanità e al sociale della Regione Veneto, per elaborare una riforma complessiva del sistema della non autosufficienza. I tre tavoli fanno seguito ai precedenti lavori con i rappresentanti sindacali del settore e alle prospettive del nuovo piano sociosanitario 2019-2023. L’obiettivo del confronto tecnico, che ha coinvolto tutti gli attori del sistema socioassistenziale, gestori delle Ipab, Anci e conferenze dei Sindaci, Fondazioni ed enti privati di assistenza, Uripa, Uneba e i direttori delle Ulss, è stato quello di mettere a fuoco ogni evidenza della situazione regionale della non autosufficienza, analizzando il progetto di riforma sul modello veneto per la non autosufficienza e il ruolo delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sulla base della fotografia scattata dai ricercatori del Centro di ricerche sul gestione dell’assistenza sanitaria e sociale della Scuola di direzione aziendale dell’università Bocconi, al quale è stato affidato il compito di affiancare l’amministrazione regionale.
“Il sistema attuale vede prevalere l’offerta di servizi residenziali, con rette giornaliere a carico del cittadino variabili tra i 49 e gli 77 euro al giorno – ha detto l’assessore alla Sanità e al sociale della Regione Manuela Lanzarin –. In prospettiva vogliamo costruire una rete multiservizi omogenea in tutto il territorio regionale, nella quale le nuove Ipab, ripensate come aziende pubbliche di servizi alla persona, siano un tassello organico della programmazione sociosanitaria. L’obiettivo è fornire servizi adeguati ad una popolazione che sta invecchiando e alle famiglie. La trasformazione delle Ipab – ha sottolineato l’assessore Lanzarin – deve rientrare in un disegno più ampio di rivisitazione del sistema pubblico esistente, per ora focalizzato quasi esclusivamente sull’offerta residenziale, e del suo raccordo con le iniziative del settore privato, profit e non profit. Tra i problemi che i tavoli tecnici sono chiamati ad affrontare ci sono la disomogenea distribuzione territoriale dei servizi, l’eterogeneità dell’offerta erogata nelle diverse Ulss, la sostenibilità dei costi di gestione e il modello di remunerazione, le differenze di trattamento fiscale, giuridico e amministrativo tra i diversi gestori servizi, l’incidenza delle tariffe. Nel prossimo incontro, entro l’estate, presenteremo a tutti gli attori del sistema socio-assistenziale, la riforma che questa amministrazione ha in mente per garantire risposte adeguate ai nuovi fabbisogni: i capisaldi saranno il superamento della rigidità dell’offerta, il collegamento di ‘filiera’ tra centri residenziali e servizi territoriali, il riposizionamento delle Ipab nel sistema con la trasformazione di quelle che un tempo si chiamavano ‘case di riposo’ in ‘centri di salute multiservizi’, aperti al territorio e ai bisogni della popolazione anziana più fragile”.
In Veneto il sistema della residenzialità per la terza e quarta età, finanziato ogni anno con oltre 500 milioni di euro dalla Regione, conta attualmente 31.000 posti letto autorizzati, di cui circa 30.000 accreditati: il 48% sono gestiti da Ipab, il 18 per cento da Fondazioni, il 12 per cento da società private, l’8 per cento da cooperative, il resto da enti religiosi, Comuni, Comunità montane, partecipate di Enti locali o Aziende sanitarie.