La Prima Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, prospettando la seguente questione di massima di particolare importanza: se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una libertà personale inviolabile, il cui accertamento sia suscettibile di ottemperanza, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell’orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2, 3, 30, comma 1, 32, 34, commi 1 e 2, Cost.).
Con la sentenza numero 5156 del 3 settembre scorso, il Consiglio di Stato aveva legittimato il pasto da casa, denominato anche “Diritto all’autorefezione”, “in quanto si tratta di un’estensione dell’attività di preparazione alimentare famigliare autogestita, non è soggetto alle imposizioni delle vigenti normative in materia di igiene dei prodotti e delle imprese alimentari e relativi controlli ufficiali (reg. C.E. n.178/2004, C.E. n. 852/2004 n. 882/2004), non è soggetto neanche a forme di autorizzazione sanitaria, né a forme di controlli sanitari, e ricade completamente sotto la sfera di responsabilità dei genitori dell’alunno/a“.
“Il panorama dei dirigenti scolastici che dispongono regolamenti in contrasto con la recente sentenza è variegato, tant’è che diviene un rompicapo per i genitori assediati dalla inutile burocrazia. Eppure portare il pasto a scuola, lo ha autorizzato il massimo organo di giustizia amministrativo, non è certo un crimine, né può creare un turbamento ai bambini”, riportava il testo della sentenza. Ora la parola passa ai giudici di legittimità: sperando che sia l’ultima.