Consolidatosi nella nostra giurisprudenza il principio della natura tributaria della tariffa d’igiene ambientale (TIA1), la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16332/2018, torna a occuparsi della medesima questione con riferimento alla tariffa integrata ambientale (TIA2). E giunge alla conclusione opposta: la TIA 2, a differenza della TIA 1, è un corrispettivo e non una tassa. Tre gli elementi ritenuti decisivi dai giudici della Suprema Corte, tutti fondati su un’attenta analisi del dato normativo:
1. La diversa formulazione del presupposto normativo: mentre l’obbligo del pagamento della TIA 1 poggiava sulla mera occupazione di locali o aree (art. 49, co. 3, d.lgs. 22/1997), l’obbligo del pagamento della TIA 2 scatta solo in caso di occupazione di locali o aree “che producono rifiuti urbani” (art. 238, co. 1, primo periodo, d.lgs. 152/2006). Il collegamento tra prelievo e servizio, sottinteso e/o implicito nella formulazione testuale della TIA 1, diventa esplicito elemento costitutivo della TIA 2.
2. L’espressa previsione di legge in base alla quale la TIA 2 “costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio” (art. 238, co. 1, secondo periodo), blindata dallo stesso legislatore con una norma di interpretazione autentica (art. 14, co. 33, decreto legge n. 78/2010) con cui si toglie ogni eventuale dubbio circa il significato da attribuire al termine corrispettivo e si esplicita che esso è da intendersi nel senso di prelievo avente natura non tributaria.
3. L’obbligatoria commisurazione della TIA 2 al servizio: la previsione di legge (art. 238, co. 2). richiede infatti che la nuova tariffa sia “commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie”. Coerentemente con la sua natura di controprestazione monetaria del servizio, la TIA 2 deve dunque rapportarsi e tararsi sulla quantità e qualità del servizio.
Appurata la natura corrispettiva, ossia non tributaria, della TIA 2 i giudici della Suprema Corte fanno chiarezza sul significato e sulla portata della considerazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 238/2009 che aveva qualificato come un tributo la TIA 1, aggiungendovi come conseguenza l’inapplicabilità dell’Iva: ricorda infatti la Cassazione che l’obbligatorietà del pagamento non costituisce in sé e per sé un ostacolo all’applicazione dell’Iva, perché ai sensi della normativa Iva sono soggette a tale imposta tutte le prestazioni di servizi «verso corrispettivo», sia quelle che scaturiscono da un contratto sia quelle che poggiano su una fonte giuridica diversa (compresa la legge). A riprova della fondatezza di tale posizione i giudici riportano testualmente il disposto dell’art. 3 del d.p.r. 633/1972, il quale prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere obbligazioni di fare, di non fare e di permettere» costituiscono prestazioni di servizi (ai fini dell’assoggettabilità ad Iva ex art. 1 del medesimo decreto) «quale ne sia la fonte»”. Ad ulteriore riprova può aggiungersi la previsione della corrispondente norma europea (art. 73 direttiva 112/2006/UE) che così dispone: “la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo”.
La ragione per cui i tributi per lo più non scontano l’Iva, dunque, non è da ricercarsi nell’obbligatorietà del pagamento, ma nella mancanza in concreto di uno o di entrambi i presupposti per l’applicazione di tale imposta. Cade in tal modo uno dei principali argomenti spesi nelle discussioni sulla debenza o meno dell’Iva.
Ulteriore elemento che si auspica venga presto chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte attiene al significato di sinallagma (dal greco συν e αλλασσω= scambio con): tale termine, preso in prestito dal diritto civile, viene normalmente utilizzato per qualificare il primo presupposto per l’applicazione dell’Iva, ossia l’esistenza di una interdipendenza tra prestazione e corrispettivo. Tale interdipendenza, ci insegna la dottrina civilistica, non richiede però una corrispondenza esatta tra valore economico di un bene/servizio ed ammontare del suo prezzo, bensì (soltanto) una coesistenza necessaria delle prestazioni che trovano l’una nell’altra la propria ragion d’essere.
Il giudizio positivo appena espresso dalla Cassazione sulla legittimità dell’Iva sulla TIA 2 appare d’altra parte pienamente conforme alla precisazione che le Sezioni Unite della medesima Corte avevano avuto cura di inserire nella sentenza con cui bocciavano definitivamente l’Iva sulla TIA 1: l’aliquota agevola del 10%, si legge infatti al paragrafo 20 della sentenza 5078/2016, è invece applicabile “nei casi in cui le prestazioni in esame vengano svolte «con corrispettivo»”.
Altre due importanti precisazioni sul contenuto di altre sentenze della Suprema Corte in tema di TIA 2 sono contenute nella sentenza in commento e meritano di essere evidenziate: prendendo le mosse da alcune argomentazioni difensive – che talora si sentono ripetute anche da parte della dottrina- i giudici puntualizzano che “questa Corte non ha mai affermato che TIA 1 e TIA 2 sono lo stesso tributo” (qui il riferimento è all’errato richiamo della sentenza Cass. sez. V. 9/3/2012 n. 3756) e “neppure ha mai sancito la natura tributaria anche della TIA 2” (e qui il riferimento è all’ordinanza della Cass. SS. UU. 11/07/2017 n. 17113).
E’ interessante infine evidenziare che tutti e tre gli elementi ritenuti decisivi dalla Suprema Corte per un giudizio positivo sulla legittimità dell’Iva sulla TIA 2 sussistono anche per l’attuale tariffa corrispettiva in regime TARI (art. 1, co. 641 e ss., legge n. 147/2013): anche per essa, infatti, il presupposto generativo è rappresentato dal possesso o detenzione di locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani (art. 1, co. 641), anche per essa il legislatore è intervenuto per affermarne espressamente la sua natura corrispettiva (art. 1, co. 668, primo periodo) ed anche per essa è sancita l’obbligatoria commisurazione tra tariffa e servizio reso (art. 1, co. 667, ultimo periodo).
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it