Lo scorso anno la quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi si è attestata al 14% e per la prima volta dal 2008, il dato non ha registrato un miglioramento rispetto ai dodici mesi precedenti. Dopo il documento dei mesi scorsi redatto dal Miur, il Report dell’Istituto nazionale di statistica, appena presentato, rileva e analizza i livelli di istruzione del Belpaese. Uno studio che sottolinea anche le differenze territoriali negli abbandoni scolastici precoci: -18,5% nel Mezzogiorno; 10,7% nel Centro, 11,3% nel Nord, con Campania, Sicilia e Sardegna al di sopra della media nazionale.
La Strategia europea 2020 sull’istruzione fissa al 10% l’obiettivo per i 28 Paesi dell’Unione. E il raggiungimento dell’obiettivo è vicino per il Regno Unito, ormai praticamente raggiunto dalla Germania e superato da diversi anni dalla Francia. In Italia invece il differenziale rispetto al valore medio Ue, seppure ridotto dal 2009, risulta ancora pari a -3,4 punti nel 2017 (era a -4,9 punti nel 2008). Per questo indicatore è stimato un vantaggio femminile, nel senso che le ragazze sono solitamente meno interessate dal fenomeno dell’abbandono scolastico precoce rispetto ai ragazzi (11,2% contro 16,6%). Tuttavia questo vantaggio viene meno se si considera la quota di giovani Elet (Early leavers from education and training), che si sono inseriti nel mondo del lavoro rispetto alla quota rimasta ai margini: sono infatti gli uomini ad essere più presenti nel mercato del lavoro.
Se nel Centro-nord il mancato proseguimento degli studi si accompagna ad un numero più consistente di giovani occupati, pur con basso livello di istruzione, nelle regioni meridionali gli occupati usciti anzitempo dalla scuola, sono una minoranza. Nel quadro generale vediamo che i vantaggi in termini occupazionali nel conseguire almeno un diploma di scuola superiore sono indubbi e l’abbandono scolastico si dimostra così un ostacolo penalizzante. Dando uno sguardo d’insieme all’inserimento lavorativo vediamo che a livello nazionale la percentuale di occupati tra i diplomati e laureati di 20-34 anni che hanno concluso il ciclo formativo da non più di tre anni è del 55,2%, un valore assai inferiore a quello medio Ue (80,2%). Tuttavia nel triennio 2014-2017 è stata registrata un’inversione di tendenza, con l’aumento del tasso di occupazione per i giovani usciti più di recente dagli studi (+ 10,2 punti in tre anni) più sostenuto rispetto a quello medio europeo (+ 4,2).
Dati alla mano, occorre ora agire sulla dispersione scolastica, sull’insuccesso formativo e sulla povertà educativa attraverso un intervento strutturato da parte di tutti gli attori in campo, che vanno dal Miur agli Enti territoriali. A tal fine è importante agire non solo nel periodo scolastico e non soltanto all’interno della scuola, ma investire sull’acquisizione di competenze aiutando i giovani a realizzare un’apertura mentale verso il nuovo, un interesse proteso al cambiamento che aumenta attraverso la crescita delle conoscenze, una vera e propria propulsione al miglioramento che sappia caratterizzare il percorso scolastico come pure l’intera vita professionale.