E’ stata presentata la scorsa settimana la V edizione del Report dell’Istat che misura in maniera multidimensionale la qualità della vita. Negli anni il dibattito sulla misurazione del benessere dei cittadini e dei contesti urbani è assurto sempre più all’attenzione dell’opinione pubblica. Ci si chiede se le nostre società, gli Stati nazionali, ma anche le comunità locali, stiano realmente progredendo. In questo nuovo studio l’Istat offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali ed ambientali italiani attraverso l’analisi di un ampio spettro di indicatori suddivisi in dodici domini. Tra i diversi indicatori troviamo: la salute; l’istruzione e la formazione; il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita; il benessere economico; le relazioni sociali; la politica e le istituzioni; la sicurezza; il benessere soggettivo; il paesaggio e il patrimonio culturale; l’ambiente; la ricerca e l’innovazione; la qualità dei servizi. L’analisi dell’andamento degli indicatori compositi evidenzia che nel 2015 e nel 2016, rispetto al 2013, vi è stato un miglioramento degli obiettivi relativi alla salute, all’ambiente, all’istruzione, all’occupazione, alla soddisfazione dei cittadini per la vita in generale. Una sostanziale stabilità è stata rilevata invece per quanto riguarda la qualità del lavoro, reddito, condizioni economiche minime e relazioni sociali.
Il confronto con la situazione relativa al 2010 mostra un miglioramento per la salute, l’ambiente, l’istruzione; un recupero completo dell’occupazione e livelli lievemente inferiori rispetto al 2010 per reddito, relazioni sociali e soddisfazione per la vita; divari ancora significativi sono presenti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro. I territori sono caratterizzati da evoluzioni temporali in linea con quelle nazionali, ma con intensità diverse. Al Nord e al Centro Italia, oltre al miglioramento degli indicatori compositi per l’ambiente, l’istruzione e la salute, nell’ultimo anno, in relazione agli altri domini, si è tornati vicino ai livelli del 2010. Solo per la qualità del lavoro l’indicatore composito rimane significativamente inferiore rispetto ai livelli di sette anni fa. Nel Mezzogiorno gli indicatori compositi disponibili segnalano oltre alla diminuzione per la qualità del lavoro anche quella per le condizioni economiche minime e per la soddisfazione per la vita, ma si rilevano miglioramenti generalizzati rispetto al 2013.
Nel 2015-2016 l’occupazione è in assoluto la dimensione in cui la distanza tra Nord e Sud Italia è più ampia, seguita dal reddito, dalle condizioni economiche e dalla qualità del lavoro. La distanza è notevole anche per quanto riguarda le relazioni sociali, ma scende per la salute, l’istruzione e la soddisfazione della vita, fino a ridursi sensibilmente nel caso dell’ambiente. Negli anni la forbice tra il Sud e il resto del Paese è rimasta invariata o si è ulteriormente aperta con la sola eccezione delle relazioni sociali (da 23 a 20 punti nell’indice composito) e dell’ambiente (da 9 a 5 punti). Le misure del benessere equo e sostenibile presentate nel volume dell’Istat, sono state implementate e sviluppate a partire dal 2010, con la premessa di un ampio e articolato dibattito che ha coinvolto istituzioni, mondo della ricerca e organismi della società civile sul tema della misurazione del benessere individuale e sociale. Il quadro composito di misurazioni che ne è derivato è teso a supportare il dibattito pubblico e le scelte di policy, obiettivo rafforzato dalla nuova legge di bilancio, che prevede esplicitamente di misurare l’efficacia delle politiche pubbliche anche attraverso i loro effetti sugli indicatori di benessere. Il ruolo degli indicatori statistici come strumento per orientare e influenzare i processi decisionali è un tema di grande attualità, tanto che è diventato oggetto di un documento (Lisbon memorandum on indicators for decision making and monitoring) adottato nel 2015 dai direttori generali degli Istituti nazionali di statistica. Se alcuni indicatori di natura prevalentemente macroeconomica come il Pil, il tasso di inflazione o il rapporto deficit/Pil da lungo tempo sono entrati a pieno titolo in tutti i cicli di programmazione politica, gli indicatori di natura socio-economica e quelli ambientali hanno visto consolidarsi solo negli ultimi anni un loro ruolo esplicito e riconosciuto di orientamento delle policy, nonostante il dibattito sulla loro rilevanza sia in corso da mezzo secolo.
La rilevanza per le scelte pubbliche di disporre e usufruire di uno strumento di misurazione del benessere, da tempo riconosciuta a livello accademico e civile, è diventata, più recentemente, cruciale anche nei contesti istituzionali. A partire dal 2001 l’Ocse ha promosso diverse iniziative nell’intento di aumentare la consapevolezza sul tema della misurazione del progresso sociale e con la Dichiarazione di Istanbul, adottata nel giugno 2007 dalla Commissione europea, dall’Ocse, dall’Organizzazione della conferenza islamica, dalle Nazioni Unite, dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) e dalla Banca mondiale, si è raggiunto un primo consenso internazionale sulla necessità di «intraprendere la misurazione del progresso sociale in ogni Paese. Nel mese di agosto 2009 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione dal titolo “Non solo Pil – Misurare il progresso in un mondo che cambia. Il suo obiettivo era quello di riflettere meglio le preoccupazioni della politica e della società attraverso la produzione e diffusione di informazioni in grado di integrare e migliorare le informazioni che il Pil, spesso usato come proxy, è in grado di fornire in merito alla qualità della vita. Nel settembre 2009, la Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale ha pubblicato il cosiddetto rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi con 12 raccomandazioni su come misurare in modo migliore la performance economica, il benessere sociale e la sostenibilità.
Nel 2011, il Comitato del sistema statistico europeo ha adottato una relazione, “Misurare il progresso, il benessere e lo sviluppo sostenibile”, che elenca 50 azioni specifiche per attuare le raccomandazioni sulla misura multidimensionale della qualità della vita, sulla prospettiva delle famiglie e sugli aspetti distributivi di reddito, consumi e ricchezza, sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda il primo punto, un expert groupha ha individuato un set di indicatori armonizzato a livello europeo, in grado di dare rappresentazione quantitativa alla qualità della vita nell’Unione. Il set è stato organizzato su nove dimensioni che costituiscono il quadro d’insieme. Otto di queste dimensioni si riferiscono alla capacità delle persone di perseguire il benessere come loro stesse lo definiscono (in base ai propri valori e priorità). L’ultimo indicatore si riferisce, invece, agli affetti personali e al senso della vita radicato in ciascuno. In questi ultimi anni si sono infine sviluppate diverse iniziative a livello internazionale, come il Canadian Index of Wellbeing(Ciw), il Measures of Australia’s Progress, la misurazione del Gross National Happiness Index in Buthan, mentre nel Regno Unito nel 2010 l’Office for National Statistics (Ons) ha lanciato il programma Measuring National Well-being, che ha sviluppato un set di indicatori condiviso e affidabile a cui i cittadini possano rivolgersi per capire e monitorare “il benessere nazionale”.