Sarebbero state in totale 126 le città italiane colpite da eventi estremi dal 2010 a oggi. A riportarlo è Legambiente nelle osservazioni al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), diffuse in occasione del primo anniversario dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi. L’associazione ha inoltre sottolineato l’importanza di monitorare gli impatti sanitari del cambiamento climatico, con un’attenzione particolare da rivolgere alle aree urbane che, secondo Legambiente, rivestirebbero un ruolo chiave nella lotta agli eventi estremi.
Mentre – prosegue Legambiente – per “il fenomeno delle ondate di calore un’analisi condotta sulle persone con età di più di 65 anni ha evidenziato che i decessi attribuibili all’ondata di calore del 2015 sono stati 2.754 nelle 21 città analizzate, pari al 13% di tutti i decessi registrati nel periodo estivo”.
Le osservazioni fatte al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, rese pubbliche in occasione del primo anniversario degli accordi di Parigi, hanno come obiettivo la definizione di una strategia efficace che – scrive l’associazione ambientalista – diventi un riferimento per i finanziamenti e gli interventi da programmare per il prossimo futuro.
“Il rischio – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente – è che dopo tre anni di elaborazioni della Strategia e poi del Piano di adattamento al clima, questa fase si chiuda con l’approvazione di due documenti che non contengono strumenti utili per consentire al nostro Paese di accelerare, come avremmo invece bisogno, nell’azione di adattamento ai cambiamenti climatici. Per questo chiediamo al Ministero dell’Ambiente di individuare le priorità di intervento, le azioni e le risorse per metterle in campo a partire dai territori più a rischio, gli interventi di prevenzione e di informazione dei cittadini e di definire il quadro delle risorse disponibili, coerentemente con le politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico portate avanti da #italiasicura”.
Per questo l’associazione ha preparato un documento che riassume le sue proposte per intervenire sul piano:
Mettere al centro le aree urbane e i Comuni, definendo strumenti concreti e incisivi, per l’elaborazione di linee guida per i piani clima delle città più a rischio in modo da semplificare il percorso di elaborazione e approvazione e che comprendano politiche di riqualificazione urbana, gestione delle acque, comprese quelle meteoriche e mitigazione delle ondate di calore; e per favorire l’inserimento delle azioni previste all’interno delle priorità di finanziamento, anche attraverso il coinvolgimento di risorse nazionali e regionali, ma anche comunitarie.
Rafforzare il monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici, con specifica attenzione alle aree urbane. Oramai sono evidenti i risultati degli studi italiani e internazionali nella correlazione tra fenomeni climatici e impatti sulla salute delle persone. Occorre dunque ampliare le indagini epidemiologiche in tutte le città italiane e utilizzare questi studi per la messa a punto di piani e interventi che riducono i rischi per le persone.
Introdurre la chiave dell’adattamento al clima nella pianificazione di bacino e negli interventi di riduzione del rischio idrogeologico. Perché come dimostrano i più interessanti progetti internazionali oggi di fronte ai cambiamenti climatici occorre cambiare approccio rispetto al tema. Perché la sicurezza si garantisce non attraverso opere di ingegneria e ulteriori intubamenti, ma restituendo spazi al naturale deflusso nei momenti di piena, destinando a questa funzione aree dove si possano continuare negli altri periodi dell’anno usi pubblici, e quindi parchi o boschi, o anche agricoli.
Predisporre una regia unica per gli interventi sulla costa, perché nel nostro Paese circa un terzo delle spiagge è a rischio erosione con una situazione che andrà peggiorando. Non si può continuare a procedere con scogliere artificiali e pennelli frangiflutti, che portano solo a nuovo cemento sulle spiagge senza risolvere il problema, o al prelievo di sabbia e ghiaia dai fiumi. Occorrono politiche nuove che tengano conto dell’importanza della tutela degli ecosistemi costieri, ap artire da quelli dunali e politiche di gestione integrata delle coste, che includano anche i piani urbanistici e gli interventi di delocalizzazione delle strutture più a rischio. Serve quindi una attenta progettazione per mettere in campo interventi di adattamento al clima delle aree costiere.
Sviluppare un diverso approccio nella progettazione, valutazione e gestione delle infrastrutture, sempre più a rischio per le temperature estreme o eventi climatici come piogge intense e nevicate. Per queste ragioni occorre approvare delle Linee Guida per le infrastrutture, che riguardino però anche i Piani clima comunali, in particolare per l’utilizzo di materiali che riducono l’impatto dei cambiamenti climatici all’interno dei quartieri. È oramai dimostrato che materiali e scelte edilizie possano aggravare le condizioni climatiche, ad esempio impermeabilizzando completamente le pavimentazioni nei periodi di piogge intense o assorbendo il calore e contribuendo così a innalzare le temperature durante le ondate di calore, e mettendo a rischio la stessa salute delle persone.
Indicare le aree da cui far partire un monitoraggio degli ecosistemi più delicati rispetto ai cambiamenti climatici nel territorio italiano. Dai ghiacciai alpini a quello del Calderone, dagli stagni di Molentargius a Cagliari alla Laguna di Venezia, alcuni ambienti devono essere studiati e monitorati, rafforzati perché da un lato sono un indicatore dei cambiamenti del clima e dall’altro potrebbero essere a rischio per gli impatti climatici.
Individuare una chiara scelta di governance e indirizzo in alcune situazioni delicate. La prima riguarda la delocalizzazione degli edifici in aree potenzialmente pericolose per la pubblica incolumità. La seconda riguarda il monitoraggio e la tutela delle misure di vincolo, con l’obiettivo di evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili.