Già quattro anni fa gli esperti informarono della presenza nelle falde acquifere del Veneto di composti perfluoroalchilici (Pfas) in concentrazioni assai elevate. Un caso che oggi assume un’eco nazionale perché pone la questione dei livelli di controllo sugli inquinanti delle falde. La scorsa settimana il governatore Luca Zaia ha infati chiesto al Ministero della Salute di fissare un limite valido e coerente per tutte le regioni sulla percentuale di sostanze perfluoroalchiliche tollerabili nell’acqua. Da Roma però è giunta una risposta negativa insieme ad alcune precisazioni.
Riguardo alla richiesta della Regione Veneto d’individuare valori di parametro da estendere a tutto il territorio nazionale, pur non volendo escludere a priori tale ipotesi, il Ministero della Salute ha richiamato l’attenzione sul DM del 14 giugno scorso, che recepisce la Direttiva europea 1787 del 2015. Il Decreto introduce l’attuazione dei Piani di sicurezza sull’intero sistema idro-potabile e rappresenta la più innovativa metodologia di prevenzione e controllo degli inquinanti potenzialmente presenti nei sistemi idropotabili, elaborata e promossa dall’Oms (Water Safety Plant). “In effetti questa metodologia permette un cambio di passo nelle attività di prevenzione consentendo di monitorare tutto il sistema di captazione e adduzione delle acque, analizzando ogni possibile rischio di contaminazione sin dall’origine – ha detto il direttore generale per la Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, Raniero Guerra -. L’attuale sistema di controlli si limita alla verifica periodica di parametri al rubinetto, chiaramente insufficiente per comprendere l’intero e complesso sistema di gestione dell’acqua. L’attuazione dei Piani di sicurezza è in capo all’amministrazione locale per evidenti motivi di appropriatezza e rilevanza della questione relativa al territorio in discussione. Si tratta pertanto di attuare principi di vera prevenzione su tutto il sistema di approvvigionamento idrico del territorio italiano, a partire dalla Regione Veneto.
La Regione non può invocare autonomia nell’attuazione dei piani vaccinali nazionali e dimenticare la propria responsabilità nell’attuazione di misure che la vedono in primissima linea sia per quanto accaduto che per quanto è stato finora compiuto – ha aggiunto Guerra -. Non sono i limiti che vengono posti in discussione ma la realizzazione di un piano complessivo di sicurezza, in base all’analisi di rischio del quale vengono poi fissati i limiti. L’ipotesi, esclusa solo al momento, di estendere valori di parametro dei Pfas su tutto il territorio nazionale è stata motivata dal fatto che allo stato delle conoscenze si riscontrano solo sporadici ritrovamenti di Pfas dovuti a fenomeni d’inquinamento del territorio italiano puntuali e localizzati, dove oltre il 90% dei campioni analizzati hanno concentrazione molto bassa, inferiore a 50 ng/L., mentre l’inquinamento della falda veneta è un fenomeno diffuso su ampie aree della Regione stessa e rappresenta un episodio di inquinamento completo di una falda su un territorio ben preciso e identificato grazie, appunto, alla collaborazione prestata dal Ministero della Salute e dall’Iss”.
Il ministro dell’Ambiente Galletti ha sottolineato che “Oggi ci sono standard di qualità ambientale per le acque superficiali e sotterranee che includono per la prima volta anche i Pfas, c’è un grande lavoro tecnico e scientifico con gli esperti del Ministero a disposizione delle Regioni per l’individuazione delle migliori strategie a protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini, ci sono soprattutto i fondi statali per le infrastrutture e l’approvvigionamento idrico di acqua non contaminata per la Regione Veneto. E’ proprio di pochi giorni fa il decreto che sblocca gli ulteriori 80 milioni promessi nell’ambito dei Fondi Sviluppo e Coesione, assieme agli altri 23 già disponibili”.
“Siamo l’unico Paese in Europa – ha concluso il ministro – che ha inserito i Pfas negli standard di qualità ambientale delle acque superficiali e sotterranee, imponendo un monitoraggio sul rispetto dei valori soglia anche oltre i confini veneti. Per il conseguimento di questi standard e alla luce delle pressioni che vengono esercitate sul proprio territorio, come dice inequivocabilmente il Codice ambientale all’articolo 101, la Regione nell’esercizio della sua autonomia può, tenendo conto degli scarichi massimi assimilabili, definire valori limite anche diversi. In sostanza spetta alla Regione creare le condizioni di maggior tutela per il proprio territorio, conciliandole con le esigenze di sviluppo e armonizzandole alla legislazione europea e nazionale”. “Per aiutarla in questo lavoro il Ministero dell’Ambiente coordina ormai da un anno un gruppo tecnico in cui i rappresentanti della Regione Veneto e Arpav possono confrontarsi sulle migliori pratiche disponibili e sulle soluzioni con i rappresentanti del mondo scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, di Ispra e di Irsa-Cnr oltre che con i nostri tecnici”.