Sarà l’attuale o il prossimo governo a innalzare l’età pensionabile in linea con l’aspettativa di vita? Un decreto del governo potrebbe far innalzare ulteriormente l’età minima per lasciare il lavoro: dal 2019 per accedere all’assegno di vecchiaia potrebbe essere necessario aver compiuto 67 anni, contro gli attuali 66 anni e 7 mesi.
Ma per il progetto allo studio al governo di innalzare l’età pensionabile in linea con l’aspettativa di vita la strada sembra in salita. A quanto apprende l’Adnkronos l’ipotesi di portare l’età di ritiro dal mondo del lavoro dagli attuali 66 anni e 7 mesi ai 67 dal 2019 “è per ora una elaborazione tecnica”, ma, in piena fase elettorale, difficilmente vedrà la luce.
Il dossier pensioni, si sa, è tra quelli a più alto rischio impopolarità, soprattutto in un Paese dove l’età di ritiro è tra le più alte d’Europa e al governo sono consapevoli della difficoltà, se non impossibilità, di procedere con un adeguamento del sistema di ritiro all’aspettativa di vita in questi mesi di lunga campagna elettorale. È dunque prevedibile che la patata bollente passi nelle mani del nuovo governo, il prossimo anno.
Già Unimpresa ieri ha osservato come l’innalzamento penalizzi “sia i lavoratori sia le aziende”. Per i lavoratori, “si allungherebbe ancora di più la vita lavorativa oltre le aspettative a lungo pianificate; per le aziende, si creerebbe ancora una volta un quadro di incertezza, con costi maggiori e con l’impossibilità di procedere al necessario ricambio generazionale del quale trarrebbe benefici l’intera economia italiana”, osserva.
Il provvedimento tecnico sull’età pensionabile giunge negli stessi giorni in cui i decreti su lavoratori precoci e Ape sociale, l’anticipo pensionistico con penalizzazioni minime, arrivano in Gazzetta Ufficiale. E già c’è chi batte i pugni. “Le agevolazioni pensionistiche dell’Ape Social, spettanti a chi svolge un lavoro usurante, vanno per forza allargate e tutti i livelli d’insegnamento”, afferma Marcello Pacifico (Anief-Cisal). “Sull’Ape volontaria, invece, con i lavoratori chiamati a restituire fino a 500 euro al mese per vent’anni in cambio di tre anni e mezzo di anticipo pensionistico, continuiamo ad avere grossi dubbi. Non si tratta di proposte da accettare a occhi chiusi: stiamo parlando di un ammortizzatore sociale che il beneficiario dovrà pagare a carissimo prezzo”.
Inoltre, sottolinea ancora “non dimentichiamo che le pensioni attuali e future sono state già penalizzate dal nuovo modello di calcolo contributivo: ridurle di un importo così importante significa portarle abbondantemente sotto i mille euro e sempre più vicino all’assegno sociale”.