Presso il Museum of modern art di New York, fino al 22 gennaio sarà possibile visitare l’esposizione “Insecurities: tracing displacement and shelter” curata da Sean Anderson, designer e architetto di fama mondiale.
Attraverso il suo lavoro, Anderson invita a riflettere sulla realtà e la condizione dei campi profughi. Luoghi che dovrebbero garantire una prima accoglienza si trasformano in vere e proprie città.
In media la permanenza di un profugo all’interno dei campi è di 17 anni, questo è il dato scioccante fornito dalle Nazioni Unite, un tempo infinito da trascorrere avendo come unico riparo una tenda.
L’architettura dei migranti approda in una delle più importanti realtà museali, raccontando e mostrando al pubblico il dramma dei profughi. Si stimano oltre 65 milioni di persone in fuga dalla tragedia della guerra e tutti noi abbiamo l’obbligo morale di accoglierli dignitosamente.
Fotografie, materiale video e istallazioni a testimonianza delle missioni che lo stesso Anderson ha compiuto verso luoghi in costante emergenza, come lo Sri Lanka, l’Iraq e, nel nostro Paese, l’isola di Lampedusa
Le tende a fatica riparano dal freddo e l’esperimento della multinazionale Ikea, che ha progettato un modulo di 17mq è risultato vano poiché i moduli sono altamente infiammabili, attualmente il modello è esposto in una delle sale del Moma.
“Il museo può diventare advocate” questo è ciò che afferma Anderson, dunque un luogo di denuncia, di protesta sociale, un veicolo di messaggio e conoscenza.
Ancora una settimana di tempo per i turisti e cittadini statunitensi, che affollano la grande mela per recarsi al Moma ed esplorare il mondo dell’architettura e del design concepito al servizio degli ultimi, invitando gli spettatori a riflettere sull’emergenza migranti e sul tema dei diritti umani.
“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.”
(Don Lorenzo Milani)