Soluzione finale contro narcos e criminali di ogni risma. Questa la ricetta per riportare l’ordine nelle Filippine proposta e, di fatto, già praticata dal presidente Rodrigo Duterte e dai suoi pretoriani. L’uomo forte del regime ha infatti dichiarato di voler giustiziare “cinque o sei” criminali al giorno quando la pena di morte sarà reintrodotta. Ma già i killer team sono all’opera e mietono vittime quotidianamente nelle strade di Manila e di altri centri. Un annuncio che ha scatenato le proteste dei leader della Chiesa cattolica delle Filippine, che hanno definito “barbaro” il capo dello Stato. Duterte ha fatto dell’introduzione della pena di morte una delle sue priorità nell’ambito della brutale guerra al crimine e alla droga lanciata dalla sua elezione. Il progetto dovrebbe essere discusso in Parlamento a gennaio. “C’era la pena di morte ma non succedeva nulla. Ridatemela e la userò ogni giorno: cinque o sei (criminali). Sul serio”, ha rincarato la dose Duterte. Ma la Chiesa non ci sta. Padre Jerome Secillano, segretario per gli affari pubblici della Conferenza dei vescovi, ha definito “barbara” questa scelta, perché farebbe delle “Filippine la capitale della pena di morte nel mondo”. Pena abolita nel Paese a maggioranza cattolica nel 2006 proprio su insistenza della Chiesa. Si profila quindi un conflitto istituzionale fra due poteri forti. A giugno, prima dell’inizio del suo mandato, Duterte aveva affermato che avrebbe reintrodotto l’impiccagione, per non sprecare proiettili e perché rompere la spina dorsale è più umano di un plotone di esecuzione. I prossimi mesi diranno se la cura Duterte renderà migliori e più sicure le Filippine.