cari Sindaci,
Vi ringrazio della calorosa accoglienza e di questa nuova opportunità di incontro, a un anno dall’Assemblea di Torino. Ricambio con cordialità il vostro saluto. Desidero rivolgere un sincero apprezzamento a Piero Fassino per il grande e proficuo impegno da lui profuso nella presidenza dell’Anci.
Rivolgo un augurio di buon lavoro ad Antonio Decaro e a quanti lo affiancheranno, perché sia possibile perseguire con efficacia gli obiettivi che tutti insieme vi darete. Nel Sud d’Italia, in Puglia, vi sono risorse preziose. Promuoverle, valorizzarle, utilizzarle è una priorità per il Paese. L’Italia ha un destino comune, e la dimensione globale in cui il nostro Paese è immerso rafforza, se possibile, ancor di più le ragioni della nostra unità. In questo giorno, a tre mesi esatti dal tragico incidente ferroviario sulla tratta Andria-Corato, che è costato la vita a 23 persone, voglio rivolgere ancora un commosso pensiero a familiari e amici delle vittime, ai feriti e a tutte le comunità colpite da tanta sofferenza. E’ stata una tragedia inaccettabile: dobbiamo assicurare, con immediatezza, che non possa mai più ripetersi nulla di simile.
Qui a Bari riprende il confronto sui problemi legati allo svolgimento del vostro mandato, che non è limitato all’esercizio di una potestà amministrativa, ma costituisce un nodo vitale di connessione sia di ciascuna comunità locale sia di quella più ampia rete sociale che sostiene il Paese. La vita nei Comuni è la vita dei cittadini: dalla sua qualità dipende molto della nostra condizione e del nostro stesso modo di pensare la società, le relazioni, il futuro.
Il passaggio d’epoca che stiamo vivendo richiede visione lucida, energia e grandi capacità di scelta per orientare le innovazioni necessarie a confermare i fondamenti democratici e sociali della nostra convivenza. La dura crisi economica di questi anni – benché costringa ancora a sacrifici e impegni straordinari – non è la sola ragione che ci spinge al cambiamento. Predisporci ai mutamenti in atto soltanto come riflesso di condizioni oggettive, di vincoli esterni, di stringenti compatibilità economiche, induce a rassegnazione, a sfiducia, e pone le premesse di tensioni ed emarginazioni.
Dobbiamo invece saper affrontare i tempi nuovi cercando di cogliere le opportunità per avviare un sviluppo davvero sostenibile, per ricostruire nel mercato globale il senso delle politiche pubbliche, per ridurre squilibri e diseguaglianze. Questo non vuol dire, certamente, ignorare i limiti e i vincoli esistenti, con cui dobbiamo necessariamente misurarci. Vuol dire, piuttosto, affrontarli con realismo, ma anche con l’ambizione di governarli. Vuol dire dare sostanza alla democrazia, che si alimenta sempre con le aspirazioni dei cittadini. Anche in questa prospettiva – affinché le istituzioni riescano a compiere il balzo necessario – il ruolo dei sindaci è di grande importanza.
I Comuni non sono la periferia ma le fondamenta della costruzione democratica. Tanto più questo vale nel nostro Paese, la cui storia è segnata da diverse identità territoriali e la cui unità è stata costruita e si è consolidata con l’apporto proficuo di culture ricche e molteplici, tutte accomunate dall’essere italiani. La Repubblica comincia nell’azione dei municipi. Nei diritti che i suoi servizi rendono autentici, nelle domande che i cittadini pongono alle istituzioni loro più vicine, nelle risposte che determinano il grado effettivo di coesione sociale. La democrazia oggi è sfidata e voi sindaci, in questa partita, non siete spettatori, né giocatori seduti in panchina.
Siete protagonisti, artefici. Il successo – o la sconfitta – passa comunque da voi, dalle vostre azioni quotidiane. Le istituzioni, nazionali e regionali, hanno il dovere di essere costantemente al vostro fianco, specialmente nelle situazioni che mettono a rischio la coesione di una comunità locale e anche a fronte di atti intimidatori che colpiscono alcuni di voi, per pretendere di limitarne la libertà.
Il valore della vostra unità, espresso dalla vostra Associazione, non è quello di un club di persone che guardano ai rispettivi municipi come realtà separate, ma quello di una rete d’istituzioni locali che rappresentano e collegano territori e cittadini, in modo da divenire infrastruttura vitale della nazione. Non un partito di Sindaci che si contrappone ad altri partiti: la libertà degli elettori e il pluralismo al vostro interno resteranno, per fortuna, garanzie di un confronto sempre aperto e non comprimibile. Ma c’è un patrimonio comune cui potete attingere. E questo comporta anche una responsabilità.
Per un lungo ciclo i Comuni hanno pagato un prezzo elevato alle restrizioni del bilancio dello Stato. I tagli hanno anche inciso su sprechi e indotto a pratiche migliori, ma talvolta hanno colpito nel vivo il tessuto sociale, i servizi alle persone, gli investimenti, la manutenzione, il sostegno alla crescita, aumentando il divario sociale. Linee di frattura si sono accentuate tra Nord e Sud, tra città metropolitane e aree interne, tra ceti sociali, tra generazioni. Alla vostra responsabilità di Associazione di Comuni compete continuare il confronto con il governo nazionale e con le altre istituzioni per definire ciò che avete chiamato un nuovo patto di autonomia tra Stato e Comuni, in cui, entro gli obiettivi nazionali di bilancio e d’investimento, si consenta ai singoli enti di avere l’ossigeno sufficiente per esercitare le proprie funzioni e per assumere decisioni trasparenti in un rapporto ravvicinato con i cittadini.
E’ questo un passaggio cruciale per rivitalizzare la partecipazione democratica. Con la Repubblica, lo Stato non è più, da settanta anni, un ordinamento calato dall’alto. Lo Stato vive e si rinnova, nella fiducia dei cittadini. Vive se il suo diritto è garanzia di libertà per i cittadini e i corpi sociali, si rinnova se la dimensione economica, civile, culturale, associativa si rigenera continuamente dal basso, se il principio di sussidiarietà poggia su forze sane e contribuisce ad assicurare i diritti universali. Questa linfa democratica passa dai Comuni e non potrà passare altrove.
In questa assemblea – pur con le normali differenze politiche – ponete questioni di rilievo, che interpelleranno le scelte della prossima Legge di Stabilità. Non è mio compito entrare nel merito delle proposte, ma condivido con voi l’impegno e l’auspicio che si giunga presto a un quadro di certezze finanziarie e a una semplificazione amministrativa e contabile, in modo che tanti Comuni riescano finalmente a uscire da una condizione di permanente precarietà e programmare con maggiore serenità le loro scelte al servizio dei cittadini.
I fondi stanziati per l’edilizia scolastica e il contrasto alla povertà possono aiutare a riattivare, pur in un contesto di risorse limitate, un rapporto positivo con le aree di disagio e di maggior bisogno, tuttavia è necessario che siano chiuse le vecchie partite dei risarcimenti, delle perequazioni, dei ristori di gettiti fiscali mancanti, che gravano sulla condizione di molte amministrazioni. La riflessione unitaria tra i Comuni è, in questo senso, essenziale, anche al fine di compensare squilibri tra le stesse amministrazioni locali. Tutte le istituzioni sono chiamate ad aver cura della Repubblica, coltivando naturalmente gli spazi del libero confronto e della competizione tra intenti diversi, ma comunque avendo sempre a mente il bene comune. La democrazia e il Paese saranno più forti, e non più deboli, se chi rappresenta ai vari livelli, e nei diversi ruoli, la volontà popolare sa riconoscere l’interesse generale.
Questo obiettivo va preservato anche in occasione del prossimo referendum sulle modifiche alla seconda parte della Costituzione. Interesse comune è la Costituzione stessa, così come sarà sancita dalla volontà del popolo sovrano. Ognuno di voi, come del resto tutti gli italiani, dirà la sua sul merito della riforma e si batterà per ciò che riterrà opportuno, in un confronto tanto più efficace quanto più composto. Il giorno dopo il referendum, da sindaci, chiederete che l’esito del voto – qualunque esso sia – confermi il valore del sistema delle autonomie. Per questo – come per ogni altro aspetto – è necessario, nell’avvicinarsi al giorno del referendum, e sarà necessario, dopo il suo risultato, il contributo di tutti, sereno e vicendevolmente rispettoso.
Rispettando anzitutto l’esercizio del voto degli elettori e il loro libero convincimento. Confido di avere in voi gli alleati per migliorare la cooperazione tra le istituzioni democratiche e i poteri dello Stato. Come ha detto il presidente Decaro, l’ANCI e’ “il sindacato della coesione nazionale’’. Del resto, voi sapete bene come anche la più aspra delle battaglie elettorali non attenui per nulla il dovere di voi sindaci di rappresentare, sin dall’esito dello scrutinio, tutti i vostri concittadini, di ascoltare i loro problemi e di cercare di rispondere alle loro domande.
I Comuni sono il terminale più esposto e sensibile della Repubblica, perché sono i primi ad essere raggiunti dai bisogni più immediati e più urgenti. I Comuni sono la prima frontiera della solidarietà sociale. Anche sui temi dell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati i Comuni sono in prima fila: 2200 quelli coinvolti. Lo avete sottolineato e avete segnalato i tanti problemi e i costi sociali di questa solidarietà attiva, che testimonia ancora una volta la cultura e l’umanità degli italiani. Il fenomeno migratorio, per le sue inedite dimensioni, sta facendo emergere forti criticità nel tessuto di molte realtà locali. I timori e le preoccupazioni dei cittadini vanno rispettati e presi sul serio: alla nostra capacità organizzativa il compito di tenere insieme solidarietà e sicurezza, umanità e legalità. Soccorrere chi fugge dalla violenza e chiede asilo, trattare con senso di umanità chi è disperato, aiutare il minore lasciato solo, sono segni di civiltà irrinunciabili. Al tempo stesso l’integrazione di chi lavora da noi va accompagnata con il rigoroso rispetto della legalità, con il contrasto a ogni traffico illecito, a partire dal mostruoso traffico degli esseri umani.
Occorre puntare sempre più sulla collaborazione tra Stato, Regioni e Comuni e sulla loro corresponsabilità nel predisporre e gestire programmi di distribuzione, di accoglienza e un adeguato piano sui vari aspetti di integrazione per coloro che hanno titolo per restare nel nostro Paese, anche per evitare che si possano formare aree di emarginazione etnica. Occorre allargare la base dei Comuni interessati, per consentire una ripartizione più equa e sostenibile e per tutelare le comunità più piccole. Occorre continuare ad adoperarsi per far sì che l’Unione Europea non evada dalle responsabilità di solidarietà politica e dal compito storico che le appartengono su questo fronte.
La solidarietà dei Comuni è un telaio che sostiene l’Italia. Lo si è visto anche di recente, all’indomani del terremoto del 24 agosto. Una ferita profonda, ancora aperta, che ha suscitato commozione ed espressioni di autentica fraternità. I Comuni sono stati e sono in testa alla colonna degli aiuti: di questo vi ringrazio, come ringrazio i sindaci di Amatrice, di Accumoli, di Arquata del Tronto, che sono diventati le figure simbolo di una tragedia che sentivamo profondamente nostra e oggi, insieme a tutti i Sindaci degli altri Comuni sono la bandiera del futuro dei loro territori. Non li lasceremo soli.
E lo ripeto davanti a voi perché di questa promessa voi siete parte. Lo Stato è una comunità. E si sviluppa quando crea sinergia dalle sue diversità, quando integra realtà, culture, interessi diversi. Le città metropolitane, ad esempio, nel mondo globalizzato sono sempre più centri propulsori di sviluppo. E’ un percorso che trova esempi significativi anche in Italia. Vanno verificate e messe rapidamente a regime le nuove funzioni delle Città metropolitane disegnate con la legge Delrio, ma intanto è necessario porre a tema la loro progettualità in modo da attivare gli investimenti necessari e indirizzarli verso traguardi strategici. Al tempo stesso non può sfuggire alla nostra agenda il tema delle aree interne e dei piccoli Comuni, che amministrano oltre il 50% del territorio nazionale, con 10 milioni di abitanti e un patrimonio ambientale, produttivo, culturale di valore inestimabile, decisivo per l’intero Paese.
Tremila Comuni sono sostanzialmente disabitati. Molti altri lo sono scarsamente. Territori non più presidiati. Aree non più coltivate o comunque non utilizzate, destinate a diventare da risorsa un problema. La legge sui piccoli Comuni appena approvata alla Camera raccoglie l’esigenza di affrontare il problema del ‘’disagio insediativo’’. Lo Stato appare in ritirata da questi territori dove non si produce più ricchezza e, dunque, la gente non può più vivere. Sono questioni non superabili con misure di mero riordino amministrativo.
Si tratta di una grande questione nazionale di cui occorre prendere maggiore coscienza per attivare conseguenti politiche domestiche ed europee. Il nostro Paese non sarebbe più se stesso senza questi beni. Non si può consentire che le aree interne vengano impoverite da una continua caduta demografica, da carenza di servizi, da abbandono di terreni ed edifici. La strategia per le aree interne va ripresa con intensità, integrata con un piano di manutenzione e di tutela dal rischio idrogeologico. Così come dal rischio sismico, di cui tutti oggi segnalano il valore prioritario. Dal dibattito della vostra assemblea usciranno conclusioni che verranno attentamente ascoltate: saranno certamente di grande utilità nel percorso di rinnovamento che vive l’Italia.
Vi auguro giornate proficue.
Avete una parte importante nel rilancio del nostro Paese.