Il Consiglio di Stato (sezione V) con la sentenza n. 6599 del 24 luglio 2025 torna a fare chiarezza sulle procedure di gara per l’affidamento dei servizi museali, un settore cruciale per la valorizzazione del patrimonio culturale. La decisione, di cui è estensore il Consigliere Quadri e Presidente Lotti, fornisce importanti indicazioni in materia di programmazione, durata della concessione e oneri relativi al Piano economico finanziario (PEF).
La gestione e la programmazione della gara
La sentenza precisa che l’indizione di una gara per l’affidamento dei servizi museali non è subordinata all’obbligo di una programmazione o progettazione preliminare, come non si evince dagli articoli 114 e 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. La scelta tra gestione diretta e gestione indiretta deve piuttosto avvenire dopo una valutazione comparativa in termini di efficacia e sostenibilità economico-finanziaria, in linea con gli obiettivi già definiti.
Inoltre, viene confermata la libertà dell’Amministrazione di modificare l’organizzazione dei servizi. Non vi è alcun obbligo di mantenere un’unica concessione unitaria, potendo la stazione appaltante decidere di scorporare i servizi e far venir meno la precedente gestione integrata, purché ciò sia conforme alla disciplina legislativa.
Viene ribadito che i servizi di assistenza culturale e di ospitalità previsti dall’art. 117 del Codice dei beni culturali possono essere gestiti in forma integrata con servizi strumentali (come pulizia, vigilanza e biglietteria), anche a prescindere dal loro valore economico. La concessione del servizio culturale mantiene in ogni caso la sua centralità.
Durata della concessione: addio al tetto di otto anni
Un punto fondamentale della decisione riguarda la durata delle concessioni. Secondo il Consiglio di Stato, la previsione, contenuta nell’art. 6 di un Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 2008, che limitava la concessione dei servizi museali a quattro anni, rinnovabili per altri quattro, non è più applicabile.
Questa norma ministeriale era infatti attuativa di una previsione di legge (il d.l. n. 159/2007) successivamente abrogata nel 2010. La disciplina di fonte primaria oggi è individuabile nell’art. 178 del vigente Codice dei contratti pubblici, che stabilisce che la durata della concessione è limitata e deve essere determinata dall’ente concedente in funzione dei lavori o servizi richiesti al concessionario, superando di fatto il precedente limite temporale.
Il ruolo centrale del Piano economico finanziario (PEF)
La sentenza si sofferma anche sugli oneri relativi al PEF nelle gare di affidamento di servizi in concessione:
- Onere a carico degli offerenti: l’Amministrazione deve sì valutare la possibilità che il servizio sia gestito in equilibrio, ma le indicazioni contenute nel PEF posto a base di gara dalla stazione appaltante hanno valore meramente indicativo. L’onere di allegare il PEF che espliciti le definitive condizioni di equilibrio ricade sugli offerenti.
- Contenuti del PEF: il PEF predisposto dalla stazione appaltante deve essere in grado di dimostrare la capacità del progetto di generare un livello di redditività adeguato al capitale investito, creando valore nel tempo.
- Trasferimento del rischio: il Consiglio di Stato chiarisce che l’obbligo imposto dall’art. 165 del d.lgs. n. 50 del 2016 si limita alla traslazione del rischio operativo al concessionario. Non ogni famiglia di rischio deve essere trasferita in capo al privato, in quanto è vietato solo l’intervento pubblico volto a sanare carenze o inadempienze gestionali connesse al rischio di impresa.
- Impugnazione del PEF: le contestazioni contro il PEF di gara sono ammissibili solo se sono in grado di minacciare in maniera radicale l’equilibrio economico-finanziario iniziale, rendendo impossibile partecipare alla gara o calcolare la convenienza economica. In tali ipotesi, soccorre comunque la possibilità di revisione del PEF prevista dall’art. 165, comma 6, del Codice.