La foresta amazzonica si estende su un’area di oltre 7 milioni di chilometri quadrati, di cui 5,5 milioni di zona boschiva. In Amazzonia quest’anno sono stati disboscati 8.000 chilometri quadrati di foresta, sebbene il Brasile si sia impegnato a ridurre dell’80% entro il 2020 le emissioni attribuibili alla deforestazione, operando altresì per il ripristino e il riforestazione di 12 milioni di ettari di terreno entro il 2030. Ma i dati dell’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais riportano numeri importanti, in netta controtendenza rispetto agli obiettivi di deforestazione. La responsabilità principale è legata all’agricoltura industriale e all’allevamento intensivo. Rispetto agli anni passati, però, nel 2016 si è registrato un dato positivo: nel Mato Grosso, dove sono concentrate molte delle coltivazioni intensive, il tasso di deforestazione è sceso di quasi il 7%. Una tendenza controbilanciata negativamente, tuttavia, da quella dell’Amazonas, ad esempio, (uno degli Stati del Venezuela) dove vi è stato un aumento del 50% con attività illegali portate avanti dai “grileros” e da alcuni fazenderos senza scrupoli. Un altro fenomeno che desta preoccupazione è quello delle foreste degradate, molto sfruttate dal disboscamento o arse. La deforestazione genera molti aspetti problematici e potenzialmente catastrofici. Gli ambientalisti denunciano un’enorme perdita della biodiversità, incrementata dal risultato della distruzione delle foreste e allo sfruttamento insostenibile delle sue risorse. L’Amazzonia, inoltre, è un enorme “polmone” terrestre, che grazie all’elevata densità della vegetazione e alla sua posizione equatoriale che permette un grande irraggiamento del sole, consuma grandi quantità di anidride carbonica, generando ossigeno. La riduzione dell’area forestale depotenzia questo effetto ed inoltre viene spesso eseguita mediante incendi gravi quanto incontrollati. Tutto ciò ha importanti conseguenze sull’effetto serra e costituisce una delle principali cause del riscaldamento globale.